26/3/2007 - LA STORIA
Dopo il caso di Luisa i viceprocuratori onorari hanno annunciato una nuova serie di scioperi
GIANLUCA PAOLUCCI
TORINO
Lavoratori precari che si autotassano per permettere ad una loro collega di avere un minimo di reddito nel periodo di maternità. Costretta a rimanere a casa da una normativa che le impedisce di riprendere il lavoro dopo aver partorito ma non le riconosce le forme di assistenza e di previdenza che la legge riconosce ai lavoratori dipendenti. La precaria di questa storia però non lavora in un call center o in una agenzia di lavoro temporaneo.
E non è neppure un operaio dell’800, quando i lavoratori senza diritti fondavano le società di mutuo soccorso per darsi un minimo di tutela l’un l’altro. La precaria di questa storia, che chiameremo Luisa, amministra la giustizia oggi a Torino.
Per 73 euro netti al giorno, senza indennità di malattia, senza ferie pagate, senza tutela se decide di avere un figlio, rappresenta la pubblica accusa, cioè lo Stato, in tribunale. È la «co.co.co. della giustizia».
Luisa fa la viceprocuratore onorario a Torino. Resta incinta e nell’ultimo periodo della gravidanza si astiene (volontariamente) dal lavoro. Un mese fa il lieto evento, dà alla luce un bel bambino, un maschietto dai capelli scuri. Decide di tornare sul suo posto di lavoro, cioè il tribunale di Torino. Solo che il suo posto di lavoro non c’è, almeno per ora e fino a che non saranno trascorsi tre mesi dal parto, come prescrive il Testo unico in materia di tutela della maternità. Una delibera del Consiglio superiore della magistratura del luglio 2006 stabilisce che ai «precari della giustizia» - i giudici di pace, i viceprocuratori onorari e i giudici onorari di tribunale - vanno applicati gli stessi obblighi dei lavoratori dipendenti, ovvero devono restare in aspettativa obbligatoria in caso di maternità, come un lavoratore dipendente. Ma ovviamente non le riconosce il diritto a percepire l’indennità per le giornate di lavoro perse, come viene accade ai lavoratori dipendenti. Col risultato che Luisa resta sì a casa ad accudire il suo bimbo, ma senza l’unica fonte di reddito.
Il caso di Luisa stabilisce un precedente a livello nazionale, sottolineano i rappresentanti della categoria, perché di fatto «si prende atto che gli obblighi di prestazione che fanno capo al magistrato onorario non consentono di equipararlo ad un qualsiasi lavoratore autonomo - spiega Paola Bellone, la collega di Luisa che ha promosso questa Mutua del nuovo millennio -. Il paradosso è che al magistrato onorario non sono estese le forme di previdenza e di assistenza di cui beneficia il lavoratore dipendente, e quindi la tutela della prole, a cui è ispirata la delibera del Csm, non è effettiva».
Così i magistrati onorari di Torino hanno preso carta e penna e scritto ai parlamentari, hanno sollevato il caso di Luisa tra le ragioni dell’ennesimo sciopero della categoria - il secondo dall’inizio dell’anno - e alla fine si sono infilati le mani in tasca e hanno deciso di rinunciare ad una parte dei loro compensi, per costituire un fondo in favore di Luisa e del suo bambino.
L’iniziativa dei «magistrati co.co.co» torinesi ha avuto anche un’eco nazionale, con gli iscritti alla Federmot, una delle associazioni della categoria, che si stanno organizzando per un fondo nazionale di solidarietà a favore di tutte le future madri come Luisa.
Intanto i magistrati onorari tornano a scioperare. Cinque giorni, da oggi e fino al 31 marzo. Dopo un analogo sciopero sempre di cinque giorni in gennaio. Da allora, al di là delle molte promesse e della solidarietà di tanti magistrati togati - quelli veri, ufficiali, che hanno diritto alla maternità e alle ferie pagate - che riconoscono il loro ruolo nel tenere in piedi lo scoraggiante carrozzone dell’amministrazione della giustizia in Italia. Perché, senza questi precari, la giustizia italiana sarebbe in una situazione ben peggiore di quella attuale.
Due numeri, solo per chiarire di cosa stiamo parlando. In tutta Italia i giudici onorari e i magistrati onorari sono in quattromila. A loro è delegata l'ordinaria amministrazione dei tribunali: per reati come scippo, furto semplice e aggravato, rapina semplice, ricettazione, truffa, spaccio, calunnia, diffamazione a mezzo stampa la pubblica accusa può essere rappresentata dai Vpo. Ma anche per alcuni reati ambientali, i maltrattamenti in famiglia, le lesioni personali. E per tutti i reati previsti dalla Bossi-Fini, che hanno gonfiato il lavoro dei tribunali. Per reati più lievi, quelli che dal 2002 sono di competenza del giudice di pace, Got e Vpo svolgono addirittura le indagini.
In molte procure i Vpo sostengono l'accusa davanti al giudice di pace nel 100% dei casi. La percentuale è superiore al 90% anche per i procedimenti con il giudice monocratico. A Torino, per esempio, il 97% delle udienze monocratiche (che fa il 78% del totale) è tenuta da un «onorario». Tutto questo per 73 euro al giorno, senza ferie, senza malattia, e se fanno un figlio l’unica risorsa è la solidarietà dei colleghi. Come nell’Ottocento.
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