Michela Chimenti
2 maggio 2007
Centomila persone anche quest'anno hanno sfilato, ballato e cantato per le strade di Milano, urlando e protestando contro la condizione precaria del lavoro e della vita. Il carnevale milanese si ripete al grido di «Mayday!Mayday!» che, col passare degli anni, non è più un grido spaventato di aiuto, ma un urlo di consapevolezza e di voglia di cambiare. «Dai precari piagnoni del 2001 ai precari d'assalto del 2007!» urla un ragazzo dal carro. Ed è proprio così: precari sono e forse resteranno, ma la Mayday 2007 ha avuto una marcia in più rispetto agli scorsi anni, un miglioramento che l'accompagna di volta in volta.
C'è il signore che sfila sui trampoli, per dimostrare come si sente ogni giorno quando va al lavoro: traballante. C'è una signora con un cartello al collo che dice «scado il 3 maggio». C'è il tradizionale carro dei lavoratori autorganizzati del teatro alla Scala e dei precari dello spettacolo. E poi c'è il carro principale, quello a cui un pò più che ad altri è dedicata la Mayday di quest'anno: i giornalisti. Si denuncia il fatto che, ad esempio, nella holding che controlla il Corriere della sera, Rcs, tre quarti degli articoli provengano da giornalisti precari e senza contratto. Ma il vero grido d'allarme per l'informazione arriva dai freelance, che denunciano il loro malessere [«Informare e NON essere, questo è il freelance»], e dicono di sentirsi come prodotti sul banco di un supermarket, come fantasmi nel mondo del lavoro.
Anche quest'anno, non sono mancati i gadget: un mazzo di «Tarocchi della Precariomanzia», da raccogliere lungo il percorso del corteo, suddivisi in quattro livelli di difficoltà, il più difficile dei quali è il Tarocco XXI, Il Reddito.
Un altro carro si è fatto notare: quello dei cittadini che non vogliono più farsi chiamare immigrati. Persone di varie nazionalità hanno urlato di essere italiani, di sentirsi italiani e soprattutto di lavorare per l'Italia e per il suo benessere. Una sola richiesta, a gran voce: uguali leggi e uguali diritti. Sono arrabbiati e delusi dalle parole della sindaca Letizia Moratti, che nell'ultimo periodo non ha fatto molto più che parlare di «zone franche da sgomberare». Mai. Nemmeno per distinguere fra «buoni e cattivi», soprattutto quando parla di quella ChinaTown milanese che tanto ha sconvolto l'opinione pubblica in queste settimane. Ecco quindi che da un carro spunta un bimbo cinese che sorride, appena sotto di lui due bandiere: una cinese e una italiana. Sono queste le zone franche di cui tanto si ha paura?
Come ogni anno, dopo i carri e i gadget, sfilano immancabili «le polemiche per il futuro». Quest'anno arrivano da Onorio Rosati, segretario generale della Camera del lavoro di Milano, il quale ha fatto un appello affinché nel futuro si possa fare una sola manifestazione del primo maggio milanese e non due [quella dei sindacati al mattino e la Mayday al pomeriggio]. Non che nel corteo mancassero bandiere o sindacati [i Cub in prima linea], ma se si continua a trattare i precari come presenze oscure, che si manifestano per le strade in un pomeriggio assolato, e non si prova a parlare con loro direttamente, non dalle radio o dai giornali la mattina del primo maggio, forse per il corteo comune qualcuno non è ancora pronto...
Michela Chimenti [Precaria]
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