Il lavoro stabile si allontana. Isfol-Cnel: per gli "under 25" crolla il numero
dei contratti a termine che si trasformano in posti a tempo indeterminato
La "gavetta"? Serve sempre meno
Non si assumono i giovani precari
La stabilità nel lavoro arriva a 38 anni. Interviste a Centra e Dell'Aringa
di FEDERICO PACE
La "gavetta"? Serve sempre meno
Non si assumono i giovani precari
C'è modo di rendere ancor più piena di ostacoli una strada già molto impervia? A quanto pare sì. Tanto che la via che dovrebbe portare i giovani verso un posto stabile si è andata complicando ancor di più. Fino a qualche anno fa si faceva un po' di gavetta, si accettava un po' di flessibilità, e dopo un paio di anni si poteva ad approdare a qualcosa di certo. Ora però il numero di quelli che riescono nell'impresa è sempre più basso. "Tra il 2003 e il 2005 la quota dei contratti a termine degli 'under' che si è trasformata in contratti a tempo indeterminato - ci ha detto Marco Centra, responsabile Isfol per l'analisi e valutazione delle politiche per l'occupazione (leggi intervista integrale) - è diminuita in maniera preoccupante. Due anni fa era il 40 per cento. Ora invece viene stabilizzato solo il venticinque per cento dei giovani. "Se si guarda ai contratti di collaborazione ci si accorge che la quota degli 'under 25' che riesce a passare a un contratto permanente è pari a un misero undici per cento.
Al Sud nel 2005, secondo i dati della ricerca presentata in questi giorni dalla Svimez, un ragazzo su cinque non cerca lavoro e non studia: in tutto 824mila giovani. Lo scorso anno, dicono gli esperti Svimez, il Mezzogiorno ha assistito ad un calo degli occupati tra i 15 e i 34 anni pari a 221mila unità. Tre giovani su quattro hanno visto peggiorare la propria posizione professionale e solo il 19,6 per cento dei giovani è riuscito a vincere la sua personale lotteria: vedere trasformato il contratto atipico in uno a tempo indeterminato.
Così, quegli strumenti che dovevano permettere un più agevole accesso del mercato, quegli strumenti che parevano chiedere ai ragazzi e alla ragazze solo qualche sacrificio da sostenere nei primi tempi, dal 2003 hanno preso a tradire le promesse. Tanto che da allora è cresciuta anche la quota degli under 25 che fanno il percorso inverso e, dal lavoro "a tempo", escono per andare nella grigia area degli inattivi o in quella di chi cerca lavoro: nel 2002-2003 erano l'11 per cento ora sono quasi il venti per cento (vedi tabella).
Ma cosa è successo? Quali sono le ragioni? "Alle imprese - spiega Centra - non conviene più assumere i giovani perché non hanno più gli incentivi economici previsti per il contratto di formazione e lavoro mentre il 'nuovo' apprendistato è praticamente bloccato." Il fenomeno sembra ancora più acuto proprio in uno dei più importanti mercati del lavoro. Nel Nord Ovest le "speranze" dei giovani si scontrano con una realtà quasi paradossale: solo il 26,2 dei contratti dei temporanei si trasforma in contratti stabili mentre succede lo stesso al 33,2% per la media totale (vedi tabella). I giovani ormai paiono condividere lo stesso destino dei loro colleghi più maturi. E la stabilizzazione arriva sempre più tardi: nel 1998 si raggiungeva a 36 anni mentre ora si riesce a conquistarla solo a 38 anni.
Il Nord Est sembra essere l'unica area territoriale dove le imprese utilizzano ancora i contratti a termine per avviare i giovani verso un percorso professionale stabile. Qui, negli ultimi anni, la percentuale di conversione per gli "under 25" è stata del 35,1% rispetto al 30,6% del totale dei lavoratori.
Anche secondo il rapporto Ocse ("Boosting Jobs and Incomes") i posti a tempo determinato, seppure possono produrre benefici effetti sul mercato del lavoro, rischiano di intrappolare certi lavoratori in situazioni di impieghi instabili con retribuzioni incerte. In media la penalizzazione retributiva è nei paesi dell'Unione europea pari al 15% (si va dal 6% in Danimarca al 24% in Olanda).
Cosa fare allora? "Bisogna puntare sul rilancio dell'apprendistato - ci ha detto l'economista Carlo Dell'Aringa (leggi l'intervista integrale) - Nel momento in cui Regioni, sindacati e parti sociali si metteranno d'accordo, questo istituto sarà molto utilizzato e la stabilizzazione tornerà ai livelli di prima. Se non esiste un contratto del genere le imprese ne approfittano e tengono un atteggiamento di eccessiva attesa nei confronti dei giovani. Non va bene però lasciare le nuove generazioni a macerare. Non va bene dal punto di vista sociale e non risponde nemmeno a esigenze forti delle aziende".
(20 settembre 2006)
Nessun commento:
Posta un commento