Per dare voce ai medici precari la FpCgil medici ha aperto nel sito www.fpcgil.it/medici.htm lo sportello on line «SOS Medici Precari».
«Si tratta di una iniziativa - ha dichiarato Massimo Cozza, segretario nazionale della FpCgil medici - che vuole dare più forza a chi si sta battendo per dare una risposta a migliaia di medici ultratrentacinquenni che, a causa della precarietà del loro lavoro, non sono in grado di programmare il loro futuro».
La situazione di precariato che si è andata a determinare in questi anni di blocco delle assunzioni in tutto il pubblico impiego viene giudicata dal sindacato, non più tollerabile. La FPCGIL sta chiedendo al Governo di affrontare la questione nell'ambito della finanziaria 2007 e dei prossimi rinnovi contrattuali 2006-2009.
Rapporti a tempo determinato periodicamente rinnovati, contratti di collaborazioni professionale coordinata e continuativa ed altri rapporti di lavoro atipici sono arrivati a costituire una modo per mantenere nel precariato migliaia di medici.
Vi sono inoltre altri 10mila medici iscritti all'università prima del '91 e laureati dopo il 94, che da anni ricoprono temporaneamente incarichi nell'ambito della medicina generale, della continuità assistenziale e del pronto soccorso, ed essendo privi, per ragioni temporali indipendenti da loro, del possesso del titolo di formazione specifica in medicina generale, «saranno precari a vita - ha concluso Cozza - se non gli sarà consentito l'accesso alle graduatorie regionali».
Fonte: Sole24ore/Federfarma
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25.9.06
RdB/CUB P.I.: Sul precariato nel pubblico impiego
RdB/CUB P.I.: SUL PRECARIATO NEL PUBBLICO IMPIEGO IL GOVERNO E’ ANCORA IN CAMPAGNA ELETTORALE PDF Stampa
(rd.cub. 25/9) - “Pare che questo Governo si stia impegnando in una campagna di stampa sul tema del precariato come se fossimo ancora in campagna elettorale” –dichiara Paola Palmieri della RdB-CUB P.I.. “L’ipotesi del Ministro Nicolais di proporre una fantomatica “sanatoria” per i precari del pubblico impiego con l’obiettivo di stabilizzare solo una parte dei lavoratori che hanno avuto un rapporto di lavoro con contratto a tempo determinato, rischia di produrrebbe degli effetti devastanti sul piano sociale, costringendo migliaia di lavoratori a passare da una condizione di precarietà ad una condizione di vera e propria disoccupazione.”
“Infatti, - continua la nota - il piano Nicolais non definisce quanti lavoratori otterranno concretamente la stabilizzazione, ingannando così le aspettative di coloro che attendono da anni un contratto a tempo indeterminato, ma invece pone il divieto a rinnovare i contratti precari a quei lavoratori esclusi dal cosiddetto “piano”.” “In questo quadro la giornata di sciopero e manifestazione nazionale del 6 ottobre a Roma indetta dalla RdB-CUB P.I. diventa un appuntamento fondamentale che vedrà la partecipazione di migliaia di lavoratori precari in attesa di risposte concrete.” “Il Governo – conclude Palmieri- deve correggere al più presto le politiche in materia di occupazione nel pubblico impiego, deve avviare un tavolo vero di confronto sul tema del precariato. Perciò facciamo appello a tutti i lavoratori del pubblico impiego ad impegnarsi fortemente alla riuscita dello sciopero e della manifestazione del 6 ottobre, che rappresenta una prima giornata di lotta per un rilancio vero della Pubblica Amministrazione che il Governo, a quanto pare, mira a smantellare.”
(rd.cub. 25/9) - “Pare che questo Governo si stia impegnando in una campagna di stampa sul tema del precariato come se fossimo ancora in campagna elettorale” –dichiara Paola Palmieri della RdB-CUB P.I.. “L’ipotesi del Ministro Nicolais di proporre una fantomatica “sanatoria” per i precari del pubblico impiego con l’obiettivo di stabilizzare solo una parte dei lavoratori che hanno avuto un rapporto di lavoro con contratto a tempo determinato, rischia di produrrebbe degli effetti devastanti sul piano sociale, costringendo migliaia di lavoratori a passare da una condizione di precarietà ad una condizione di vera e propria disoccupazione.”
“Infatti, - continua la nota - il piano Nicolais non definisce quanti lavoratori otterranno concretamente la stabilizzazione, ingannando così le aspettative di coloro che attendono da anni un contratto a tempo indeterminato, ma invece pone il divieto a rinnovare i contratti precari a quei lavoratori esclusi dal cosiddetto “piano”.” “In questo quadro la giornata di sciopero e manifestazione nazionale del 6 ottobre a Roma indetta dalla RdB-CUB P.I. diventa un appuntamento fondamentale che vedrà la partecipazione di migliaia di lavoratori precari in attesa di risposte concrete.” “Il Governo – conclude Palmieri- deve correggere al più presto le politiche in materia di occupazione nel pubblico impiego, deve avviare un tavolo vero di confronto sul tema del precariato. Perciò facciamo appello a tutti i lavoratori del pubblico impiego ad impegnarsi fortemente alla riuscita dello sciopero e della manifestazione del 6 ottobre, che rappresenta una prima giornata di lotta per un rilancio vero della Pubblica Amministrazione che il Governo, a quanto pare, mira a smantellare.”
Bologna: Manifestazione lavoratori precari Manutencoop dell 'ospedale S.Orsola 23/9
Bologna 23/09/06
Alcuni lavoratoi dell'ospedale S.Orsola, gestiti dalla cooperativa Manutencoop, manifestano contro l'indecente flessibilita' dei loro contratti. Quasi tutti questi lavoratori sono immigrati e sotto la minaccia di licenziamenti la cooperativa non risponde alle loro richieste.
foto su indymedia
Alcuni lavoratoi dell'ospedale S.Orsola, gestiti dalla cooperativa Manutencoop, manifestano contro l'indecente flessibilita' dei loro contratti. Quasi tutti questi lavoratori sono immigrati e sotto la minaccia di licenziamenti la cooperativa non risponde alle loro richieste.
foto su indymedia
"Mi vendo per un contratto di lavoro" (Repubblica.it)
"Una notte di sesso per 1200 euro al mese e un lavoro a tempo indeterminato". Parola di Sara F., "trentenne disperata"
In un blog la provocazione di Sara
"Ho ricevuto una trentina di offerte e quasi 2500 commenti. Volevo solo provocare"
Non è un trucco come quello di Lonelygirl: "E ho anche un fidanzato"
ROMA - "Mi chiamo Sara, sono di Roma e ho compiuto trent'anni il novembre scorso. Considero l'apertura di questo blog l'ultima spiaggia". Inizia così la trovata di una "trentenne disperata" che, pur di poter firmare un "contratto reale, a tempo indeterminato con uno stipendio minimo di milleduecento euro", ha trovato come "unica soluzione" quella di vendere se stessa per "una e soltanto una notte di sesso".
I più maligni potrebbero paragonarla alla cerbiattona Lonelygirl che, spacciata per una Lolita 15enne che si confidava in rete, in realtà si chiama Jessica Rose ed è un'attrice ventenne, con tanto di troupe e autori, in cerca di gloria. Ma Sara non vuole fare la star. Sara cerca solo "continuità, la possibilità di programmarsi un futuro, dei figli, una casa".
Appena una settimana dopo, il suo unico post pubblicato sul blog è stato sommerso da 2389 commenti e oltre 140mila visite. "Ho ricevuto una trentina di proposte di lavoro - racconta Sara F. - tra cui anche quella di un ente collegato al Vaticano che mi ha chiesto come unica condizione quella di chiudere il blog". Voleva provocare e ci è riuscita. Ha solleticato uomini e donne, giovani e meno giovani, madri e mogli, mariti e padri.
Come scrive nel blog "senza falsa modestia", riesce "bene" in ogni cosa che fa. "Eppure non sono riuscita ad imbastire uno straccio di carriera entro i trent'anni, collezionando, invece, lavori in nero e contratti interinali". Fino all'ultimo impiego, "protratto quasi cinque anni, alla fine del quale mi hanno detto arrivederci e grazie". Sara, in realtà, un lavoro ce l'ha. E anche un fidanzato.
"Lavoro per una società che è collegata allo Stato - racconta al telefono - nel settore delle comunicazioni, con un contratto a termine che non so se sarà rinnovato. E sono profondamente arrabbiata". Guadagna poco meno di mille euro al mese con il contratto interinale, frequenta un corso di inglese e ogni tanto va in palestra. Ma è indignata lo stesso.
Perché, come già scriveva nel suo blog, "non c'è nessuno, nè governo nè sindacati, nè destra nè sinistra, che stia muovendo un dito per rimediare a questo scandalo". E non si può passare la vita saltellando tra una lista e l'altra di società interinali. "Non si riesce a pensare al futuro". Per questo ora Sara pensa di raccogliere le testimonianze e concretizzare il suo impegno. "Credo che scriverò una lettera al ministro del Lavoro per sottoporgli la reazione che hanno avuto i lettori al mio post". Ovvero un profluvio di opinioni che ha scatenato un vero e proprio dibattito tra simili.
"Non so se posso aiutarti - le scrive BelloDaBaciare - ma mi ha colpito e vorrei che mi scrivessi x parlare, non voglio sesso". Sono in tanti quelli che hanno affermato di capirla e di trovarsi nella sua stessa situazione. Molto pochi quelli che hanno condiviso il suo gesto estremo. "Poniamo che con questa via trovi lavoro - ipotizza un utente anonimo - ma come si sentiranno quelle che il solito lavoro avrebbero potuto averlo onestamente e con le sole capacità lavorative e se lo sono viste soffiare da una che come curriculum ha aperto le gambe?". In molti l'hanno presa sul serio e si sono sentiti offesi. Come l'omonima Sara da Milano. "Piuttosto mi adatto a fare dei lavori inferiori ma almeno sono a posto con me stessa".
E poi c'è anche chi alla provocazione ha risposto a tono: "Io ho 32 anni, a 23 mi sono lanciato in un'attività libero professionale abbandonando un contratto a tempo indeterminato (...). Ora, dopo umiliazioni, fallimenti, crisi, e tanto altro guadagno 6.500 euro al mese... tanto che cerco un/una giovane di 20/23 anni che mi aiuti".
E chi, per smascherarla, le ha scritto calcolatrice alla mano: "Partiamo dal presupposto che una notte con te equivale ad attualizzare (diciamo ad un tasso costante del 2%) un flusso di cassa di 1200 euro al mese per circa 30 anni. Significa che una notte con te vale circa 26.800 euro (...) Quindi la teoria della notte di sesso non regge neanche un po'!".
Lei è rimasta a gurdare e non ha risposto a nessuno. Nè a chi le ha dimostrato solidarietà, nè a chi le chiedeva una foto. Tanto meno a chi l'ha provocata con toni all'aceto. "Molte persone non hanno capito che il mio non era un proposito reale".
Certo è che, come commenta Concetta, "questo tuo messaggio mette tutti davanti a una realtà drammatica com'è quella del lavoro per noi trentenni!!" E poi conclude "non so chi ci potrà aiutare, forse nessuno se non noi stessi e la nostra tenacia e caparbietà di non mollare! non ti buttare via, non buttiamoci via!".
(Giulia Vola, 22 settembre 2006) www.repubblica.it
In un blog la provocazione di Sara
"Ho ricevuto una trentina di offerte e quasi 2500 commenti. Volevo solo provocare"
Non è un trucco come quello di Lonelygirl: "E ho anche un fidanzato"
ROMA - "Mi chiamo Sara, sono di Roma e ho compiuto trent'anni il novembre scorso. Considero l'apertura di questo blog l'ultima spiaggia". Inizia così la trovata di una "trentenne disperata" che, pur di poter firmare un "contratto reale, a tempo indeterminato con uno stipendio minimo di milleduecento euro", ha trovato come "unica soluzione" quella di vendere se stessa per "una e soltanto una notte di sesso".
I più maligni potrebbero paragonarla alla cerbiattona Lonelygirl che, spacciata per una Lolita 15enne che si confidava in rete, in realtà si chiama Jessica Rose ed è un'attrice ventenne, con tanto di troupe e autori, in cerca di gloria. Ma Sara non vuole fare la star. Sara cerca solo "continuità, la possibilità di programmarsi un futuro, dei figli, una casa".
Appena una settimana dopo, il suo unico post pubblicato sul blog è stato sommerso da 2389 commenti e oltre 140mila visite. "Ho ricevuto una trentina di proposte di lavoro - racconta Sara F. - tra cui anche quella di un ente collegato al Vaticano che mi ha chiesto come unica condizione quella di chiudere il blog". Voleva provocare e ci è riuscita. Ha solleticato uomini e donne, giovani e meno giovani, madri e mogli, mariti e padri.
Come scrive nel blog "senza falsa modestia", riesce "bene" in ogni cosa che fa. "Eppure non sono riuscita ad imbastire uno straccio di carriera entro i trent'anni, collezionando, invece, lavori in nero e contratti interinali". Fino all'ultimo impiego, "protratto quasi cinque anni, alla fine del quale mi hanno detto arrivederci e grazie". Sara, in realtà, un lavoro ce l'ha. E anche un fidanzato.
"Lavoro per una società che è collegata allo Stato - racconta al telefono - nel settore delle comunicazioni, con un contratto a termine che non so se sarà rinnovato. E sono profondamente arrabbiata". Guadagna poco meno di mille euro al mese con il contratto interinale, frequenta un corso di inglese e ogni tanto va in palestra. Ma è indignata lo stesso.
Perché, come già scriveva nel suo blog, "non c'è nessuno, nè governo nè sindacati, nè destra nè sinistra, che stia muovendo un dito per rimediare a questo scandalo". E non si può passare la vita saltellando tra una lista e l'altra di società interinali. "Non si riesce a pensare al futuro". Per questo ora Sara pensa di raccogliere le testimonianze e concretizzare il suo impegno. "Credo che scriverò una lettera al ministro del Lavoro per sottoporgli la reazione che hanno avuto i lettori al mio post". Ovvero un profluvio di opinioni che ha scatenato un vero e proprio dibattito tra simili.
"Non so se posso aiutarti - le scrive BelloDaBaciare - ma mi ha colpito e vorrei che mi scrivessi x parlare, non voglio sesso". Sono in tanti quelli che hanno affermato di capirla e di trovarsi nella sua stessa situazione. Molto pochi quelli che hanno condiviso il suo gesto estremo. "Poniamo che con questa via trovi lavoro - ipotizza un utente anonimo - ma come si sentiranno quelle che il solito lavoro avrebbero potuto averlo onestamente e con le sole capacità lavorative e se lo sono viste soffiare da una che come curriculum ha aperto le gambe?". In molti l'hanno presa sul serio e si sono sentiti offesi. Come l'omonima Sara da Milano. "Piuttosto mi adatto a fare dei lavori inferiori ma almeno sono a posto con me stessa".
E poi c'è anche chi alla provocazione ha risposto a tono: "Io ho 32 anni, a 23 mi sono lanciato in un'attività libero professionale abbandonando un contratto a tempo indeterminato (...). Ora, dopo umiliazioni, fallimenti, crisi, e tanto altro guadagno 6.500 euro al mese... tanto che cerco un/una giovane di 20/23 anni che mi aiuti".
E chi, per smascherarla, le ha scritto calcolatrice alla mano: "Partiamo dal presupposto che una notte con te equivale ad attualizzare (diciamo ad un tasso costante del 2%) un flusso di cassa di 1200 euro al mese per circa 30 anni. Significa che una notte con te vale circa 26.800 euro (...) Quindi la teoria della notte di sesso non regge neanche un po'!".
Lei è rimasta a gurdare e non ha risposto a nessuno. Nè a chi le ha dimostrato solidarietà, nè a chi le chiedeva una foto. Tanto meno a chi l'ha provocata con toni all'aceto. "Molte persone non hanno capito che il mio non era un proposito reale".
Certo è che, come commenta Concetta, "questo tuo messaggio mette tutti davanti a una realtà drammatica com'è quella del lavoro per noi trentenni!!" E poi conclude "non so chi ci potrà aiutare, forse nessuno se non noi stessi e la nostra tenacia e caparbietà di non mollare! non ti buttare via, non buttiamoci via!".
(Giulia Vola, 22 settembre 2006) www.repubblica.it
Richiesta di chiarimenti al Vice Ministro del Ministero della Pubblica Istruzione
25 settembre 2006 - Prof. Andrea Raciti (RPS - Rete Precari SSIS)
Egregia Dott.ssa Bastico,
Le scrivo in rappresentanza di Rete Precari SSIS, un gruppo composto da insegnanti appartenenti a varie regioni italiane e abilitati attraverso la Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario (S.S.I.S). La presente lettera è stata condivisa, mediante la nostra mailing list, da tutti i membri del gruppo.
Ho recentemente letto alcune Sue dichiarazioni che hanno spiazzato, allarmato e per certi versi offeso un'intera categoria di precari, quella degli insegnanti specializzati (100.000 docenti in tutta Italia). In particolare, mi soffermo su un paio di punti che, senza un auspicato chiarimento da parte Sua, non possono che tradursi in una nuova minaccia nei nostri confronti.
continua a leggere sul sito "Orizzonte scuola"
Egregia Dott.ssa Bastico,
Le scrivo in rappresentanza di Rete Precari SSIS, un gruppo composto da insegnanti appartenenti a varie regioni italiane e abilitati attraverso la Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario (S.S.I.S). La presente lettera è stata condivisa, mediante la nostra mailing list, da tutti i membri del gruppo.
Ho recentemente letto alcune Sue dichiarazioni che hanno spiazzato, allarmato e per certi versi offeso un'intera categoria di precari, quella degli insegnanti specializzati (100.000 docenti in tutta Italia). In particolare, mi soffermo su un paio di punti che, senza un auspicato chiarimento da parte Sua, non possono che tradursi in una nuova minaccia nei nostri confronti.
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Damiano: ridurre il lavoro precario, cambiare la Biagi
dall'Unità on line
Damiano: ridurre il lavoro precario, cambiare la Biagi
Dopo la Finanziaria il Governo ha intenzione di istituire «un grande tavolo di rivisitazione delle norme del lavoro». Lo ha detto a Brescia il ministro del Lavoro Cesare Damiano in un incontro a Palazzo Loggia, sede dell'amministrazione comunale. Parlando del tavolo sul lavoro, Damiano ha spiegato: «Ci sono forme di lavoro precario che certamente non aiutano. Dobbiamo chiederci quali sono i nuovi ammortizzatori sociali. Siamo fermi a quelli degli anni Sessanta». Damiano ha precisato che il tavolo si occuperà di «rivedere anche la legge Biagi»: «la maggioranza dei lavoratori deve tornare ad essere a tempo indeterminato, mentre ora sono solo il 46%».Da rivedere anche le norme che regolano il part time e gli appalti.
Per raggiungere questo obiettivo il Governo userà in modo opportuno anche la manovra sul cuneo fiscale che sarà nella prossima Finanziaria. Ho pensato perché ci sia una scossa alla competitività a un cuneo selettivo legato al rapporto tra lavoro determinato e indeterminato. L'idea è premiare chi sceglie il lavoro indeterminato, perché un conto è la flessibilità - ha chiarito Damiano - un conto invece è l'utilizzo distorto di forme di lavoro che di fatto nascondono un rapporto subordinato. Le risorse dunque andranno a chi converte il lavoro instabile in stabile». Per vedere risultati in questa direzione il ministro ha pensato anche di intervenire con un innalzamento dei contributi agli apprendisti, ai parasubordinati e alle partite Iva, allargando i diritti di tutela per la malattia e la maternità. L'idea infatti è di avvicinare precari e dipendenti, intervenendo proprio sui contributi tra i quali si vorrebbe ridurre la differenza».
Cesare Damiano ha anche anticipato i capisaldi della Finanziaria che dovrebbe essere varata dal Consiglio dei ministri venerdì 29. «Una finanziaria molto difficile. Avrà 30 miliardi di risorse da reperire, ma io mi sono sempre battuto contro la logica dei due tempi: questa sarà una sintesi tra logiche di rigore e risorse per lo sviluppo. Come ha già sottolineato Padoa-Schioppa il passato governo ci ha lasciato un eredità pesante, una crescita zero e i conti in disordine. Dobbiamo perciò rimboccarci le maniche. Il primo punto su cui lavoriamo sarà la concertazione, da perseguire con tenacia e perseveranza».
Pubblicato il: 23.09.06
Damiano: ridurre il lavoro precario, cambiare la Biagi
Dopo la Finanziaria il Governo ha intenzione di istituire «un grande tavolo di rivisitazione delle norme del lavoro». Lo ha detto a Brescia il ministro del Lavoro Cesare Damiano in un incontro a Palazzo Loggia, sede dell'amministrazione comunale. Parlando del tavolo sul lavoro, Damiano ha spiegato: «Ci sono forme di lavoro precario che certamente non aiutano. Dobbiamo chiederci quali sono i nuovi ammortizzatori sociali. Siamo fermi a quelli degli anni Sessanta». Damiano ha precisato che il tavolo si occuperà di «rivedere anche la legge Biagi»: «la maggioranza dei lavoratori deve tornare ad essere a tempo indeterminato, mentre ora sono solo il 46%».Da rivedere anche le norme che regolano il part time e gli appalti.
Per raggiungere questo obiettivo il Governo userà in modo opportuno anche la manovra sul cuneo fiscale che sarà nella prossima Finanziaria. Ho pensato perché ci sia una scossa alla competitività a un cuneo selettivo legato al rapporto tra lavoro determinato e indeterminato. L'idea è premiare chi sceglie il lavoro indeterminato, perché un conto è la flessibilità - ha chiarito Damiano - un conto invece è l'utilizzo distorto di forme di lavoro che di fatto nascondono un rapporto subordinato. Le risorse dunque andranno a chi converte il lavoro instabile in stabile». Per vedere risultati in questa direzione il ministro ha pensato anche di intervenire con un innalzamento dei contributi agli apprendisti, ai parasubordinati e alle partite Iva, allargando i diritti di tutela per la malattia e la maternità. L'idea infatti è di avvicinare precari e dipendenti, intervenendo proprio sui contributi tra i quali si vorrebbe ridurre la differenza».
Cesare Damiano ha anche anticipato i capisaldi della Finanziaria che dovrebbe essere varata dal Consiglio dei ministri venerdì 29. «Una finanziaria molto difficile. Avrà 30 miliardi di risorse da reperire, ma io mi sono sempre battuto contro la logica dei due tempi: questa sarà una sintesi tra logiche di rigore e risorse per lo sviluppo. Come ha già sottolineato Padoa-Schioppa il passato governo ci ha lasciato un eredità pesante, una crescita zero e i conti in disordine. Dobbiamo perciò rimboccarci le maniche. Il primo punto su cui lavoriamo sarà la concertazione, da perseguire con tenacia e perseveranza».
Pubblicato il: 23.09.06
22.9.06
Pubblico impiego: Arriva la sanatoria per tutti i precari
Pubblico impiego:
Arriva la sanatoria per tutti i precari
Leggi l'articolo (pdf) di Italia Oggi (22/9)
Arriva la sanatoria per tutti i precari
Leggi l'articolo (pdf) di Italia Oggi (22/9)
Atesia assume, a condizione
L'a.d. di Cos, Camisa, chiede in cambio il «condono» per il pregresso.
Quando la faccia tosta supera anche la fantasia, lì si annida un gestore di call center. Ieri mattina, dai microfoni di RaiUtile, Gianni Camisa, amministratore delegato del gruppo Cos - da cui dipende anche l'ormai famosa Atesia - ha comunicato «l'intenzione di assumere a tempo indeterminato, dal 2007, oltre 4mila lavoratori a part time che operano in regime di inbound». Ovvero quelli che rispondono alle telefonate.
Potrebbe sembrare un buona notizia, ma il veleno sta sempre nella coda. Cos detta condizioni per procedere alle assunzioni (che avrebbe già dovuto effettuare per legge, vista l'anomala sproporzione esistente in quelle aziende tra occupati a tempo pieno e precari): «prima ci attendiamo una sanatoria sul pregresso, perché non condividiamo le conclusioni degli ispettori del lavoro». Questi ultimi, infatti, hanno steso una relazione che accusa tutte le aziende Cos di utilizzare i precari in funzioni tipiche del «lavoro dipendente», esprimendo un parere favorevole all'assunzione piena di tutti i presunti «collaboratori». Senza distinguere tra in bound e out bound (quelli che fanno le telefonate promozionali per conto terzi) e certificando l'obbligo di versare i contributi pregressi a tutti i precari, dal 2001 in poi. Cos, per realizzare il proprio obiettivo, «auspica una ripresa della trattaiva sindacale e un interessamento del ministero del lavoro». Ovvio: i sindacati confederali hanno acconsentito a firmare un accordo addirittura peggiorativo della famigerata «legge 30», mentre il ministro Damiano, in contrasto con i suoi stessi ispettori, ha diramato una circolare che «distingue» tra addetti in bound (da assumere) e out bound (no).
La mossa di Cos è dunque chiarissima: vuole un «condono tombale» per tutto il pregresso. In questo modo non solo può riparmiare su cinque anni di controbuti previdenziali, ma soprattutto può evitare di dover riassumere tutti quei «collaboratori» che - a termini di legge - sarebbe stata costretta ad assumere dopo sette anni di precariato». A cominciare da quelli che hanno portato il «caso Atesia», e tutto il settore dei call center, sotto i riflettori dei media. Una «proposta indecente», tipica di un gruppo imprenditoriale che fino a qualche tempo fa pretendeva dai «collaboratori» addirittura una cifra per l'«affitto» della postazione di lavoro. Cosa ne pensano i cultori della «legalità»?
Quando la faccia tosta supera anche la fantasia, lì si annida un gestore di call center. Ieri mattina, dai microfoni di RaiUtile, Gianni Camisa, amministratore delegato del gruppo Cos - da cui dipende anche l'ormai famosa Atesia - ha comunicato «l'intenzione di assumere a tempo indeterminato, dal 2007, oltre 4mila lavoratori a part time che operano in regime di inbound». Ovvero quelli che rispondono alle telefonate.
Potrebbe sembrare un buona notizia, ma il veleno sta sempre nella coda. Cos detta condizioni per procedere alle assunzioni (che avrebbe già dovuto effettuare per legge, vista l'anomala sproporzione esistente in quelle aziende tra occupati a tempo pieno e precari): «prima ci attendiamo una sanatoria sul pregresso, perché non condividiamo le conclusioni degli ispettori del lavoro». Questi ultimi, infatti, hanno steso una relazione che accusa tutte le aziende Cos di utilizzare i precari in funzioni tipiche del «lavoro dipendente», esprimendo un parere favorevole all'assunzione piena di tutti i presunti «collaboratori». Senza distinguere tra in bound e out bound (quelli che fanno le telefonate promozionali per conto terzi) e certificando l'obbligo di versare i contributi pregressi a tutti i precari, dal 2001 in poi. Cos, per realizzare il proprio obiettivo, «auspica una ripresa della trattaiva sindacale e un interessamento del ministero del lavoro». Ovvio: i sindacati confederali hanno acconsentito a firmare un accordo addirittura peggiorativo della famigerata «legge 30», mentre il ministro Damiano, in contrasto con i suoi stessi ispettori, ha diramato una circolare che «distingue» tra addetti in bound (da assumere) e out bound (no).
La mossa di Cos è dunque chiarissima: vuole un «condono tombale» per tutto il pregresso. In questo modo non solo può riparmiare su cinque anni di controbuti previdenziali, ma soprattutto può evitare di dover riassumere tutti quei «collaboratori» che - a termini di legge - sarebbe stata costretta ad assumere dopo sette anni di precariato». A cominciare da quelli che hanno portato il «caso Atesia», e tutto il settore dei call center, sotto i riflettori dei media. Una «proposta indecente», tipica di un gruppo imprenditoriale che fino a qualche tempo fa pretendeva dai «collaboratori» addirittura una cifra per l'«affitto» della postazione di lavoro. Cosa ne pensano i cultori della «legalità»?
Cuneo e precari della discordia
Il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero torna a sparigliare le carte del governo, e ieri si è pronunciato contro la ripartizione del taglio del cuneo fiscale annunciata dal collega Cesare Damiano, titolare del Lavoro. Damiano, due giorni fa, aveva spiegato che il 60% del taglio andrà a beneficio delle imprese e il restante 40% ai lavoratori. L'ennesima «fregatura» per i lavoratori, che però era già stata digerita dai sindacati in sede concertativa. Ferrero, unico ministro esponente di Rifondazione, ha deciso di rilanciare, come aveva già fatto con la «spalmatura» della manovra: «Sulla ripartizione del cuneo di certo non c'è nulla - ha spiegato, smentendo Damiano - La mia opinione è che dovrebbe essere metà e metà». Una posizione che, se fosse ben sostenuta dall'intero arco della sinistra «radicale», aprirebbe nuovi margini per evitare l'ennesimo regalo alle imprese.
Pensavo fosse Einstein... invece era Padoa Schioppa
Era il 20 settembre del 2006.
Il compagno ministro coi baffi, il buon Fabio Mussi, aveva passato l'estate non solo in vacanza, ma girando per l'Italia a visitare centri ed enti di ricerca pubblici e privati.
Aveva audacemente tuonato contro alcuni imprecisati enti ed università, ridotti a bordelli e auspicato che lo stipendio dei ricercatori venisse parificato al suo, o almeno a quello di un semplice parlamentare.
Ha resistito, eroico, agli attacchi dei ciellini e a quelli dei tassisti in sciopero.
Il compagno ministro coi baffi, il buon Fabio Mussi, aveva passato l'estate non solo in vacanza, ma girando per l'Italia a visitare centri ed enti di ricerca pubblici e privati.
Aveva audacemente tuonato contro alcuni imprecisati enti ed università, ridotti a bordelli e auspicato che lo stipendio dei ricercatori venisse parificato al suo, o almeno a quello di un semplice parlamentare.
Ha resistito, eroico, agli attacchi dei ciellini e a quelli dei tassisti in sciopero.
La "gavetta"? Serve sempre meno Non si assumono i giovani precari
Il lavoro stabile si allontana. Isfol-Cnel: per gli "under 25" crolla il numero
dei contratti a termine che si trasformano in posti a tempo indeterminato
La "gavetta"? Serve sempre meno
Non si assumono i giovani precari
La stabilità nel lavoro arriva a 38 anni. Interviste a Centra e Dell'Aringa
di FEDERICO PACE
La "gavetta"? Serve sempre meno
Non si assumono i giovani precari
C'è modo di rendere ancor più piena di ostacoli una strada già molto impervia? A quanto pare sì. Tanto che la via che dovrebbe portare i giovani verso un posto stabile si è andata complicando ancor di più. Fino a qualche anno fa si faceva un po' di gavetta, si accettava un po' di flessibilità, e dopo un paio di anni si poteva ad approdare a qualcosa di certo. Ora però il numero di quelli che riescono nell'impresa è sempre più basso. "Tra il 2003 e il 2005 la quota dei contratti a termine degli 'under' che si è trasformata in contratti a tempo indeterminato - ci ha detto Marco Centra, responsabile Isfol per l'analisi e valutazione delle politiche per l'occupazione (leggi intervista integrale) - è diminuita in maniera preoccupante. Due anni fa era il 40 per cento. Ora invece viene stabilizzato solo il venticinque per cento dei giovani. "Se si guarda ai contratti di collaborazione ci si accorge che la quota degli 'under 25' che riesce a passare a un contratto permanente è pari a un misero undici per cento.
Al Sud nel 2005, secondo i dati della ricerca presentata in questi giorni dalla Svimez, un ragazzo su cinque non cerca lavoro e non studia: in tutto 824mila giovani. Lo scorso anno, dicono gli esperti Svimez, il Mezzogiorno ha assistito ad un calo degli occupati tra i 15 e i 34 anni pari a 221mila unità. Tre giovani su quattro hanno visto peggiorare la propria posizione professionale e solo il 19,6 per cento dei giovani è riuscito a vincere la sua personale lotteria: vedere trasformato il contratto atipico in uno a tempo indeterminato.
Così, quegli strumenti che dovevano permettere un più agevole accesso del mercato, quegli strumenti che parevano chiedere ai ragazzi e alla ragazze solo qualche sacrificio da sostenere nei primi tempi, dal 2003 hanno preso a tradire le promesse. Tanto che da allora è cresciuta anche la quota degli under 25 che fanno il percorso inverso e, dal lavoro "a tempo", escono per andare nella grigia area degli inattivi o in quella di chi cerca lavoro: nel 2002-2003 erano l'11 per cento ora sono quasi il venti per cento (vedi tabella).
Ma cosa è successo? Quali sono le ragioni? "Alle imprese - spiega Centra - non conviene più assumere i giovani perché non hanno più gli incentivi economici previsti per il contratto di formazione e lavoro mentre il 'nuovo' apprendistato è praticamente bloccato." Il fenomeno sembra ancora più acuto proprio in uno dei più importanti mercati del lavoro. Nel Nord Ovest le "speranze" dei giovani si scontrano con una realtà quasi paradossale: solo il 26,2 dei contratti dei temporanei si trasforma in contratti stabili mentre succede lo stesso al 33,2% per la media totale (vedi tabella). I giovani ormai paiono condividere lo stesso destino dei loro colleghi più maturi. E la stabilizzazione arriva sempre più tardi: nel 1998 si raggiungeva a 36 anni mentre ora si riesce a conquistarla solo a 38 anni.
Il Nord Est sembra essere l'unica area territoriale dove le imprese utilizzano ancora i contratti a termine per avviare i giovani verso un percorso professionale stabile. Qui, negli ultimi anni, la percentuale di conversione per gli "under 25" è stata del 35,1% rispetto al 30,6% del totale dei lavoratori.
Anche secondo il rapporto Ocse ("Boosting Jobs and Incomes") i posti a tempo determinato, seppure possono produrre benefici effetti sul mercato del lavoro, rischiano di intrappolare certi lavoratori in situazioni di impieghi instabili con retribuzioni incerte. In media la penalizzazione retributiva è nei paesi dell'Unione europea pari al 15% (si va dal 6% in Danimarca al 24% in Olanda).
Cosa fare allora? "Bisogna puntare sul rilancio dell'apprendistato - ci ha detto l'economista Carlo Dell'Aringa (leggi l'intervista integrale) - Nel momento in cui Regioni, sindacati e parti sociali si metteranno d'accordo, questo istituto sarà molto utilizzato e la stabilizzazione tornerà ai livelli di prima. Se non esiste un contratto del genere le imprese ne approfittano e tengono un atteggiamento di eccessiva attesa nei confronti dei giovani. Non va bene però lasciare le nuove generazioni a macerare. Non va bene dal punto di vista sociale e non risponde nemmeno a esigenze forti delle aziende".
(20 settembre 2006)
dei contratti a termine che si trasformano in posti a tempo indeterminato
La "gavetta"? Serve sempre meno
Non si assumono i giovani precari
La stabilità nel lavoro arriva a 38 anni. Interviste a Centra e Dell'Aringa
di FEDERICO PACE
La "gavetta"? Serve sempre meno
Non si assumono i giovani precari
C'è modo di rendere ancor più piena di ostacoli una strada già molto impervia? A quanto pare sì. Tanto che la via che dovrebbe portare i giovani verso un posto stabile si è andata complicando ancor di più. Fino a qualche anno fa si faceva un po' di gavetta, si accettava un po' di flessibilità, e dopo un paio di anni si poteva ad approdare a qualcosa di certo. Ora però il numero di quelli che riescono nell'impresa è sempre più basso. "Tra il 2003 e il 2005 la quota dei contratti a termine degli 'under' che si è trasformata in contratti a tempo indeterminato - ci ha detto Marco Centra, responsabile Isfol per l'analisi e valutazione delle politiche per l'occupazione (leggi intervista integrale) - è diminuita in maniera preoccupante. Due anni fa era il 40 per cento. Ora invece viene stabilizzato solo il venticinque per cento dei giovani. "Se si guarda ai contratti di collaborazione ci si accorge che la quota degli 'under 25' che riesce a passare a un contratto permanente è pari a un misero undici per cento.
Al Sud nel 2005, secondo i dati della ricerca presentata in questi giorni dalla Svimez, un ragazzo su cinque non cerca lavoro e non studia: in tutto 824mila giovani. Lo scorso anno, dicono gli esperti Svimez, il Mezzogiorno ha assistito ad un calo degli occupati tra i 15 e i 34 anni pari a 221mila unità. Tre giovani su quattro hanno visto peggiorare la propria posizione professionale e solo il 19,6 per cento dei giovani è riuscito a vincere la sua personale lotteria: vedere trasformato il contratto atipico in uno a tempo indeterminato.
Così, quegli strumenti che dovevano permettere un più agevole accesso del mercato, quegli strumenti che parevano chiedere ai ragazzi e alla ragazze solo qualche sacrificio da sostenere nei primi tempi, dal 2003 hanno preso a tradire le promesse. Tanto che da allora è cresciuta anche la quota degli under 25 che fanno il percorso inverso e, dal lavoro "a tempo", escono per andare nella grigia area degli inattivi o in quella di chi cerca lavoro: nel 2002-2003 erano l'11 per cento ora sono quasi il venti per cento (vedi tabella).
Ma cosa è successo? Quali sono le ragioni? "Alle imprese - spiega Centra - non conviene più assumere i giovani perché non hanno più gli incentivi economici previsti per il contratto di formazione e lavoro mentre il 'nuovo' apprendistato è praticamente bloccato." Il fenomeno sembra ancora più acuto proprio in uno dei più importanti mercati del lavoro. Nel Nord Ovest le "speranze" dei giovani si scontrano con una realtà quasi paradossale: solo il 26,2 dei contratti dei temporanei si trasforma in contratti stabili mentre succede lo stesso al 33,2% per la media totale (vedi tabella). I giovani ormai paiono condividere lo stesso destino dei loro colleghi più maturi. E la stabilizzazione arriva sempre più tardi: nel 1998 si raggiungeva a 36 anni mentre ora si riesce a conquistarla solo a 38 anni.
Il Nord Est sembra essere l'unica area territoriale dove le imprese utilizzano ancora i contratti a termine per avviare i giovani verso un percorso professionale stabile. Qui, negli ultimi anni, la percentuale di conversione per gli "under 25" è stata del 35,1% rispetto al 30,6% del totale dei lavoratori.
Anche secondo il rapporto Ocse ("Boosting Jobs and Incomes") i posti a tempo determinato, seppure possono produrre benefici effetti sul mercato del lavoro, rischiano di intrappolare certi lavoratori in situazioni di impieghi instabili con retribuzioni incerte. In media la penalizzazione retributiva è nei paesi dell'Unione europea pari al 15% (si va dal 6% in Danimarca al 24% in Olanda).
Cosa fare allora? "Bisogna puntare sul rilancio dell'apprendistato - ci ha detto l'economista Carlo Dell'Aringa (leggi l'intervista integrale) - Nel momento in cui Regioni, sindacati e parti sociali si metteranno d'accordo, questo istituto sarà molto utilizzato e la stabilizzazione tornerà ai livelli di prima. Se non esiste un contratto del genere le imprese ne approfittano e tengono un atteggiamento di eccessiva attesa nei confronti dei giovani. Non va bene però lasciare le nuove generazioni a macerare. Non va bene dal punto di vista sociale e non risponde nemmeno a esigenze forti delle aziende".
(20 settembre 2006)
Irap: 10 mila euro in meno per ogni posto fisso
mezzogiorno e sviluppo
Irap: 10 mila euro in meno per ogni posto fisso
Le imprese del Sud potrebbero beneficiare di sgravi Irap pari a 10 mila euro (contro i 5 mila del Nord) sia per ogni dipendente a tempo indeterminato, che per ciascun precario stabilizzato. E’ quanto emerge dal tavolo di confronto svoltosi ieri tra governo (rappresentato dal viceministro per il Mezzogiorno Sergio D’Antoni), Regioni (per la Campania c’era l’assessore ai Trasporti Ennio Cascetta) e parti sociali. Tornerà anche il credito d’imposta per le aziende che investono o creano nuova occupazione. Delle risorse disponibili per queste misure, però, non si è parlato. «Forniremo le cifre la prossima settimana», assicura D’Antoni. Ma i sindacati sono perplessi: «Si rischia di creare un sacco vuoto se alle proposte non sono accompagnate le cifre indicative». Nulla di definito nemmeno sulle zone franche urbane, mentre è certo che per le infrastrutture la spesa annua in conto capitale destinata al Meridione passerà da 2 a 4 miliardi di euro.
di Giovanni Brancaccio
Il taglio differenziato al cuneo fiscale nel Mezzogiorno ci sarà. Al termine dell’incontro di ieri con Regioni e parti sociali, il viceministro allo Sviluppo con delega al Mezzogiorno, Sergio D’Antoni, lo conferma.
Sulle risorse disponibili, però, è giallo. Le aziende meridionali dovrebbero beneficiare di sgravi sulla base imponibile Irap pari a 10 mila euro (contro i 5 mila del resto del paese) per ogni dipendente a tempo indeterminato in organico e per ciascun precario stabilizzato. La riduzione del cuneo fiscale alle imprese, spiega una nota del Ministero del Lavoro, “sarà calcolata tenendo conto di tutti i lavoratori a carico dell’impresa, sia quelli assunti (stock) che quelli precari stabilizzati (flussi)”.
L’intervento sul cuneo fiscale dovrà essere coerente con la normativa comunitaria e, precisa il sottosegretario ai Fondi Ue Filippo Bubbico, “non va in alcun modo assimilato al concetto di fiscalità di vantaggio”. Il governo si riserva quindi ulteriori approfondimenti sulla proposta avanzata ieri a Regioni e parti sociali. “Anche le cifre - spiega Bubbico - non hanno ancora alcuna dimensione di ufficialità e di decisione validata. Entro il 27 settembre si tenterà di sciogliere tutti gli interrogativi”. Nemmeno per quanto riguarda il credito d’imposta, che premierà sia la nuova occupazione che gli investimenti, esistono cifre certe. I sindacati non nascondono le perplessità, perchè sul punto che ritengono più qualificante dell’intervento, cioè il taglio del cuneo fiscale differenziato, non sono state fornite cifre o almeno percentuali sulla ripartizione effettiva tra Nord e Sud. “Siamo molto preoccupati - spiega il segretario confederale della Cisl, Giorgio Santini - perchè ad una positiva accettazione dei criteri da noi individuati nel documento unitario, dal taglio del cuneo al credito d'imposta, ora si rischia di creare un sacco vuoto se alle proposte non sono accompagnate le cifre indicative”.
Neanche sulle zone franche urbane, allo stato, esistono certezze. Il governo, spiega D’Antoni, le vuole per combattere il degrado e dare impulso agli investimenti delle Pmi che coon meno di cinquanta dipendenti, come è stato fatto in Francia. Ma questo intervento però va concordato a livello comunitario - aggiunge - perciò restiamo cauti sulle modalità effettive”. Salvatore Ronghi, che ha partecipato al tavolo per l’Ugl, denuncia la “poca determinazione da parte del Governo” su questo punto.
Quello che allo stato appare invece sicuro è che le risorse destinate alla spesa in conto capitale per le infrastrutture nel Sud raddoppierà.
L’esecutivo si è impegnato a passare dall’attuale livello, pari a 2 miliardi all’anno, a 4 miliardi. Il piano riguarda i prossimi dieci anni.
22-09-2006
Irap: 10 mila euro in meno per ogni posto fisso
Le imprese del Sud potrebbero beneficiare di sgravi Irap pari a 10 mila euro (contro i 5 mila del Nord) sia per ogni dipendente a tempo indeterminato, che per ciascun precario stabilizzato. E’ quanto emerge dal tavolo di confronto svoltosi ieri tra governo (rappresentato dal viceministro per il Mezzogiorno Sergio D’Antoni), Regioni (per la Campania c’era l’assessore ai Trasporti Ennio Cascetta) e parti sociali. Tornerà anche il credito d’imposta per le aziende che investono o creano nuova occupazione. Delle risorse disponibili per queste misure, però, non si è parlato. «Forniremo le cifre la prossima settimana», assicura D’Antoni. Ma i sindacati sono perplessi: «Si rischia di creare un sacco vuoto se alle proposte non sono accompagnate le cifre indicative». Nulla di definito nemmeno sulle zone franche urbane, mentre è certo che per le infrastrutture la spesa annua in conto capitale destinata al Meridione passerà da 2 a 4 miliardi di euro.
di Giovanni Brancaccio
Il taglio differenziato al cuneo fiscale nel Mezzogiorno ci sarà. Al termine dell’incontro di ieri con Regioni e parti sociali, il viceministro allo Sviluppo con delega al Mezzogiorno, Sergio D’Antoni, lo conferma.
Sulle risorse disponibili, però, è giallo. Le aziende meridionali dovrebbero beneficiare di sgravi sulla base imponibile Irap pari a 10 mila euro (contro i 5 mila del resto del paese) per ogni dipendente a tempo indeterminato in organico e per ciascun precario stabilizzato. La riduzione del cuneo fiscale alle imprese, spiega una nota del Ministero del Lavoro, “sarà calcolata tenendo conto di tutti i lavoratori a carico dell’impresa, sia quelli assunti (stock) che quelli precari stabilizzati (flussi)”.
L’intervento sul cuneo fiscale dovrà essere coerente con la normativa comunitaria e, precisa il sottosegretario ai Fondi Ue Filippo Bubbico, “non va in alcun modo assimilato al concetto di fiscalità di vantaggio”. Il governo si riserva quindi ulteriori approfondimenti sulla proposta avanzata ieri a Regioni e parti sociali. “Anche le cifre - spiega Bubbico - non hanno ancora alcuna dimensione di ufficialità e di decisione validata. Entro il 27 settembre si tenterà di sciogliere tutti gli interrogativi”. Nemmeno per quanto riguarda il credito d’imposta, che premierà sia la nuova occupazione che gli investimenti, esistono cifre certe. I sindacati non nascondono le perplessità, perchè sul punto che ritengono più qualificante dell’intervento, cioè il taglio del cuneo fiscale differenziato, non sono state fornite cifre o almeno percentuali sulla ripartizione effettiva tra Nord e Sud. “Siamo molto preoccupati - spiega il segretario confederale della Cisl, Giorgio Santini - perchè ad una positiva accettazione dei criteri da noi individuati nel documento unitario, dal taglio del cuneo al credito d'imposta, ora si rischia di creare un sacco vuoto se alle proposte non sono accompagnate le cifre indicative”.
Neanche sulle zone franche urbane, allo stato, esistono certezze. Il governo, spiega D’Antoni, le vuole per combattere il degrado e dare impulso agli investimenti delle Pmi che coon meno di cinquanta dipendenti, come è stato fatto in Francia. Ma questo intervento però va concordato a livello comunitario - aggiunge - perciò restiamo cauti sulle modalità effettive”. Salvatore Ronghi, che ha partecipato al tavolo per l’Ugl, denuncia la “poca determinazione da parte del Governo” su questo punto.
Quello che allo stato appare invece sicuro è che le risorse destinate alla spesa in conto capitale per le infrastrutture nel Sud raddoppierà.
L’esecutivo si è impegnato a passare dall’attuale livello, pari a 2 miliardi all’anno, a 4 miliardi. Il piano riguarda i prossimi dieci anni.
22-09-2006
21.9.06
Le Ssis servono davvero a qualcosa?
di Anief
Lettera al Viceministro della Pubblica Istruzione, prof.ssa M. Bastico
Le Ssis servono davvero a qualcosa? Forse è una domanda retorica e non necessaria. Per la scuola, sembra di no, se i 100.000 docenti specializzati (97,2%) sono esclusi dal reclutamento, come un documento MIUR (gennaio 2006) rimarca o se altri 12.000 di essi sono addirittura esclusi dall’inserimento nelle graduatorie permanenti, e quindi dalle supplenze annuali o al termine delle attività.
Se questa era invece una domanda seria, allora una risposta immediata potrebbe essere del tipo, servono a un masochistico gioco e a un’orchestrata "truffa". In effetti, questi docenti hanno giocato nel biennio di formazione al professore quando hanno sostenuto tesine ed esami di tirocinio e di didattica, quando hanno viaggiato per chilometri al fine di raggiungere la sede dei corsi, quando hanno rinunciato alle loro famiglie, allo stipendio e ai punti del servizio, quando sono entrati gratuitamente nelle classi per esser valutati sulla loro abilità d’insegnamento. Ma, sicuramente, sono stati truffati, perché hanno vinto dei concorsi su dei posti disponibili che poi si sono rilevati soltanto fittizii, perché sono stati formati per esser disprezzati come insegnanti, perché devono spendere il loro tempo e il loro denaro per difendersi fuori e dentro i tribunali da altri colleghi o dalla stessa Amministrazione per una supplenza di qualche mese nelle scuole.
leggi tutto
Lettera al Viceministro della Pubblica Istruzione, prof.ssa M. Bastico
Le Ssis servono davvero a qualcosa? Forse è una domanda retorica e non necessaria. Per la scuola, sembra di no, se i 100.000 docenti specializzati (97,2%) sono esclusi dal reclutamento, come un documento MIUR (gennaio 2006) rimarca o se altri 12.000 di essi sono addirittura esclusi dall’inserimento nelle graduatorie permanenti, e quindi dalle supplenze annuali o al termine delle attività.
Se questa era invece una domanda seria, allora una risposta immediata potrebbe essere del tipo, servono a un masochistico gioco e a un’orchestrata "truffa". In effetti, questi docenti hanno giocato nel biennio di formazione al professore quando hanno sostenuto tesine ed esami di tirocinio e di didattica, quando hanno viaggiato per chilometri al fine di raggiungere la sede dei corsi, quando hanno rinunciato alle loro famiglie, allo stipendio e ai punti del servizio, quando sono entrati gratuitamente nelle classi per esser valutati sulla loro abilità d’insegnamento. Ma, sicuramente, sono stati truffati, perché hanno vinto dei concorsi su dei posti disponibili che poi si sono rilevati soltanto fittizii, perché sono stati formati per esser disprezzati come insegnanti, perché devono spendere il loro tempo e il loro denaro per difendersi fuori e dentro i tribunali da altri colleghi o dalla stessa Amministrazione per una supplenza di qualche mese nelle scuole.
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Stop alle assunzioni nel settore pubblico
Il governo vuole bloccare il turn over per un anno. L’Ue sblocca i nuovi sgravi al Mezzogiorno
21/9/2006
di Alessandro Barbera
ROMA. Conferma del blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione per il 2007, turn over di un ingresso ogni quattro per gli anni dal 2008 in poi. Nella maggioranza garantiscono uno stop «rafforzato» rispetto a quello voluto dalle Finanziarie Tremonti, anche se resteranno esclusi gli stessi due grandi settori degli ultimi anni: sicurezza e scuola. Le manovre precedenti «sono state interventi rudi, quasi brutali che hanno falciato soltanto le spese in conto capitale», spiegava ieri il ministro dell’Economia ai deputati dell’Ulivo. Mentre non intervenivano sulla parte «dura» della spesa «laddove è più difficile intervenire». Per questo alcune delle riforme in cantiere produrranno effetti su più anni: «Sappiamo che nel breve periodo ci può essere un risultato parziale».
All’incontro alla Camera, fissato per le otto di sera, Padoa-Schioppa non ha portato con sé alcun numero: «Con voi gioco una partita a tennis senza pallina», ha detto sorridendo ai deputati più preoccupati.
Il ministro dell’Economia fa dunque sapere di voler incidere nella carne della spesa finora lasciata intatta. Come nel caso degli enti inutili: il taglio di una settantina di loro, si legge in un documento della Ragioneria, dovrebbe far risparmiare fino a un miliardo e mezzo di euro in un solo anno. Ma, come dimostra il caso del blocco delle assunzioni, per raggiungere i trenta miliardi ai quali punta il Tesoro ci vuole altro. Per di più nel frattempo è arrivata la tegola della sentenza della Corte di Giustizia Ue sui rimborsi Iva per le auto aziendali. Un fardello di arretrati (il governo dice tre miliardi all’anno, dodici di arretrati) ora da restituire e del quale, a detta del sottosegretario Alfiero Grandi, «potrebbe farsi carico in parte questa Finanziaria». Ecco perché nella maggioranza prende piede l’idea che una parte del gettito necessario alla manovra possa arrivare dalla cancellazione del secondo modulo di riforma Irpef voluto dal centro-destra. Un’idea nata in casa Diesse e graditissima ai sindacati confederali. Cgil, Cisl e Uil oggi saranno nuovamente a Palazzo Chigi per parlare di Mezzogiorno. E al tavolo della trattativa torna la fiscalità di vantaggio: «Stiamo pensando ad alcune forme di incentivazione per il Sud», ha rivelato ieri il viceministro Vincenzo Visco. In pole position ci sono due interventi: una redistribuzione fiscale dei vantaggi del cuneo fiscale e la sperimentazione di zone franche urbane sul modello francese.
Il ministro della Funzione Pubblica Luigi Nicolais, ieri a Bruxelles, ha garantito che il blocco sarà limitato «solo al 2007». Ma ha promesso anche «un capitolo pluriennale» di bilancio per l’assunzione dei dipendenti precari. Il piano di razionalizzazione della macchina statale è complesso e pianificato su più anni. Si va dall’abolizione di una settantina di enti inutili alla riorganizzazione degli uffici periferici del Tesoro e delle Province. Il sottosegretario al Tesoro con delega al Personale Paolo Cento garantisce che tutto avverrà con il consenso dei sindacati. «Niente interventi bruschi, ogni modifica avverrà nello spirito della concertazione».
«Lo schema a cui si sta lavorando per la riforma fiscale prevede l’abbattimento della tassazione sui redditi medio alti», diceva ieri il ministro della Solidarietà Paolo Ferrero. I risparmi (fra i cinque e i sei miliardi di euro) potrebbero essere utilizzati per finanziare l'abbattimento della prima aliquota Irpef dal 23 al 20%.
Una recente sentenza della Corte di Giustizia - in questo caso favorevole all’Italia - ha riaperto lo spiraglio all’uso di sgravi fiscali per il Mezzogiorno. L’ipotesi alla quale il governo sta lavorando è quella di garantire alle aziende di quell’area una parte del taglio di tre dei cinque punti di cuneo fiscale: il 30% dei 5,4 miliardi di minori oneri complessivamente per le imprese. Applicando il taglio senza correttivi il vantaggio sarebbe infatti dell'82% per il centro-nord, del 18% il sud. La redistribuzione sarebbe ottenuta con misure mirate, ad esempio detrazioni fiscali o previdenziali per le aziende con lavoratori a tempo indeterminato. Inoltre «si possono fare e si faranno le zone franche urbane», ha fatto sapere Visco. Un esperimento già fatto in Francia per attirare imprese nelle zone più degradate.
21/9/2006
di Alessandro Barbera
ROMA. Conferma del blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione per il 2007, turn over di un ingresso ogni quattro per gli anni dal 2008 in poi. Nella maggioranza garantiscono uno stop «rafforzato» rispetto a quello voluto dalle Finanziarie Tremonti, anche se resteranno esclusi gli stessi due grandi settori degli ultimi anni: sicurezza e scuola. Le manovre precedenti «sono state interventi rudi, quasi brutali che hanno falciato soltanto le spese in conto capitale», spiegava ieri il ministro dell’Economia ai deputati dell’Ulivo. Mentre non intervenivano sulla parte «dura» della spesa «laddove è più difficile intervenire». Per questo alcune delle riforme in cantiere produrranno effetti su più anni: «Sappiamo che nel breve periodo ci può essere un risultato parziale».
All’incontro alla Camera, fissato per le otto di sera, Padoa-Schioppa non ha portato con sé alcun numero: «Con voi gioco una partita a tennis senza pallina», ha detto sorridendo ai deputati più preoccupati.
Il ministro dell’Economia fa dunque sapere di voler incidere nella carne della spesa finora lasciata intatta. Come nel caso degli enti inutili: il taglio di una settantina di loro, si legge in un documento della Ragioneria, dovrebbe far risparmiare fino a un miliardo e mezzo di euro in un solo anno. Ma, come dimostra il caso del blocco delle assunzioni, per raggiungere i trenta miliardi ai quali punta il Tesoro ci vuole altro. Per di più nel frattempo è arrivata la tegola della sentenza della Corte di Giustizia Ue sui rimborsi Iva per le auto aziendali. Un fardello di arretrati (il governo dice tre miliardi all’anno, dodici di arretrati) ora da restituire e del quale, a detta del sottosegretario Alfiero Grandi, «potrebbe farsi carico in parte questa Finanziaria». Ecco perché nella maggioranza prende piede l’idea che una parte del gettito necessario alla manovra possa arrivare dalla cancellazione del secondo modulo di riforma Irpef voluto dal centro-destra. Un’idea nata in casa Diesse e graditissima ai sindacati confederali. Cgil, Cisl e Uil oggi saranno nuovamente a Palazzo Chigi per parlare di Mezzogiorno. E al tavolo della trattativa torna la fiscalità di vantaggio: «Stiamo pensando ad alcune forme di incentivazione per il Sud», ha rivelato ieri il viceministro Vincenzo Visco. In pole position ci sono due interventi: una redistribuzione fiscale dei vantaggi del cuneo fiscale e la sperimentazione di zone franche urbane sul modello francese.
Il ministro della Funzione Pubblica Luigi Nicolais, ieri a Bruxelles, ha garantito che il blocco sarà limitato «solo al 2007». Ma ha promesso anche «un capitolo pluriennale» di bilancio per l’assunzione dei dipendenti precari. Il piano di razionalizzazione della macchina statale è complesso e pianificato su più anni. Si va dall’abolizione di una settantina di enti inutili alla riorganizzazione degli uffici periferici del Tesoro e delle Province. Il sottosegretario al Tesoro con delega al Personale Paolo Cento garantisce che tutto avverrà con il consenso dei sindacati. «Niente interventi bruschi, ogni modifica avverrà nello spirito della concertazione».
«Lo schema a cui si sta lavorando per la riforma fiscale prevede l’abbattimento della tassazione sui redditi medio alti», diceva ieri il ministro della Solidarietà Paolo Ferrero. I risparmi (fra i cinque e i sei miliardi di euro) potrebbero essere utilizzati per finanziare l'abbattimento della prima aliquota Irpef dal 23 al 20%.
Una recente sentenza della Corte di Giustizia - in questo caso favorevole all’Italia - ha riaperto lo spiraglio all’uso di sgravi fiscali per il Mezzogiorno. L’ipotesi alla quale il governo sta lavorando è quella di garantire alle aziende di quell’area una parte del taglio di tre dei cinque punti di cuneo fiscale: il 30% dei 5,4 miliardi di minori oneri complessivamente per le imprese. Applicando il taglio senza correttivi il vantaggio sarebbe infatti dell'82% per il centro-nord, del 18% il sud. La redistribuzione sarebbe ottenuta con misure mirate, ad esempio detrazioni fiscali o previdenziali per le aziende con lavoratori a tempo indeterminato. Inoltre «si possono fare e si faranno le zone franche urbane», ha fatto sapere Visco. Un esperimento già fatto in Francia per attirare imprese nelle zone più degradate.
Nicolais: dopo il 2007 sblocco delle assunzioni e riassorbimento dei precari
mercoledì 20 settembre 2006
Nella legge Finanziaria in preparazione saranno inserite delle norme per lo sblocco delle assunzioni dopo il 2007 e il riassorbimento dei precari del pubblico impiego. È quanto ha annunciato oggi a Bruxelles il ministro per le Riforme e l'Innovazione della pubblica amministrazione Luigi Nicolais.
«Ci sono due punti che abbiamo a lungo discusso sia con il ministro Padoa-Schioppa che con i sindacati», ha riferito Nicolais. Uno è l'eliminazione del blocco delle assunzioni nel pubblico impiego fino al 2007, già contabilizzato dal precedente Governo. «Riteniamo che immediatamente dopo dobbiamo eliminare il blocco e ricominciare ad assumere i giovani in proporzioni adeguate», ha annuciato il ministro, spiegando che nella legge Finanziaria è già stato previsto un capitolo di bialncio per il rinnovo contrattuale e che «stiamo definendo l'ammontare per avviare la contrattazione».
Per quanto riguarda il riassorbimento del vasto bacino dei precari della pubblica amministrazione però Nicolais ha ammonito che questo «non potrà avvenire in un anno, ci sarà un piano di stabilizzazione», che riguarderà «in particolare i precari di lunga durata che hanno superato un concorso».
Quindi, ha concluso il ministro, «a valle della Finanziaria cominceremo immediatamente questo processo per eliminare questa stortura solo italiana».
Fonte: Sole24ore/Federfarma
Nella legge Finanziaria in preparazione saranno inserite delle norme per lo sblocco delle assunzioni dopo il 2007 e il riassorbimento dei precari del pubblico impiego. È quanto ha annunciato oggi a Bruxelles il ministro per le Riforme e l'Innovazione della pubblica amministrazione Luigi Nicolais.
«Ci sono due punti che abbiamo a lungo discusso sia con il ministro Padoa-Schioppa che con i sindacati», ha riferito Nicolais. Uno è l'eliminazione del blocco delle assunzioni nel pubblico impiego fino al 2007, già contabilizzato dal precedente Governo. «Riteniamo che immediatamente dopo dobbiamo eliminare il blocco e ricominciare ad assumere i giovani in proporzioni adeguate», ha annuciato il ministro, spiegando che nella legge Finanziaria è già stato previsto un capitolo di bialncio per il rinnovo contrattuale e che «stiamo definendo l'ammontare per avviare la contrattazione».
Per quanto riguarda il riassorbimento del vasto bacino dei precari della pubblica amministrazione però Nicolais ha ammonito che questo «non potrà avvenire in un anno, ci sarà un piano di stabilizzazione», che riguarderà «in particolare i precari di lunga durata che hanno superato un concorso».
Quindi, ha concluso il ministro, «a valle della Finanziaria cominceremo immediatamente questo processo per eliminare questa stortura solo italiana».
Fonte: Sole24ore/Federfarma
Scuola: nel 2006 assunzione ad hoc per precari storici
Il progetto è nella Finanziaria. La Bastico però contesta l’utilità di Ssis e Invalsi .
“Nel 2006 assunzione ad hoc per precari storici”.
L'annuncio del viceministro al Festival dell'Unità Di Ponte Alto a Modena
Il leader Flcgil, Panini, difende la dignità dei lavoratori della scuola
L’assessore comunale Adriana Querzè: “Catanzaro in testa? Fa ridere”
da vincenzobrancatisano.it, 19/9/2006
Difende l’azione scolastica del governo e rilancia. Il viceministro alla pubblica Istruzione Mariangela Bastico prosegue il suo lungo viaggio in Italia. E si ferma a Modena, la sua città, per ribadire che “la scuola che vogliamo” non è solo il sogno-slogan con il quale l’Unione aveva ammaliato milioni di elettori, parte dei quali ora ammettono di sentirsi traditi, come il sito www.vincenzobrancatisano.it aveva denunciato, ma un obiettivo concreto che si sta già realizzando “a colpi di cacciavite”.
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“Nel 2006 assunzione ad hoc per precari storici”.
L'annuncio del viceministro al Festival dell'Unità Di Ponte Alto a Modena
Il leader Flcgil, Panini, difende la dignità dei lavoratori della scuola
L’assessore comunale Adriana Querzè: “Catanzaro in testa? Fa ridere”
da vincenzobrancatisano.it, 19/9/2006
Difende l’azione scolastica del governo e rilancia. Il viceministro alla pubblica Istruzione Mariangela Bastico prosegue il suo lungo viaggio in Italia. E si ferma a Modena, la sua città, per ribadire che “la scuola che vogliamo” non è solo il sogno-slogan con il quale l’Unione aveva ammaliato milioni di elettori, parte dei quali ora ammettono di sentirsi traditi, come il sito www.vincenzobrancatisano.it aveva denunciato, ma un obiettivo concreto che si sta già realizzando “a colpi di cacciavite”.
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20.9.06
18/9: la protesta del Sult (Il Tempo)
Oggi la protesta del Sult
di DANIELA GELLI QUATTRO ore di sciopero. È quanto ha in programma per oggi il Sult dalle 12.30 alle 16.30 di concerto con altre sigle dei trasporti per protestare contro la decisione presa dal Governo di limitare la partecipazione alla «Cabina di Regia sui Trasporti» alle sole Cgil, Cisl, Uil e Ugl, escludendo così soggetti sindacali che, come il Sult, hanno una forte rappresentatività nell'ambito del trasporto aereo e in tutti gli altri settori dei trasporti. Lo sciopero, che doveva svolgersi il 6 settembre, era stato rimandato a oggi dopo l'intervento della Commissione di Garanzia. La giornata quindi assume connotazioni più ampie e relative sia a temi riguardanti settori specifici, sia ad aspetti generali che investono l'intero Gruppo. Per i lavoratori del trasporto aereo e dell'Alitalia è quindi fondamentale affrontare una vertenza generale con le controparti e con il governo, facendo fronte comune, senza sottovalutare le problematiche delle singole aziende, delle categorie, dei settori. I motivi per cui gli aderenti al Sult hanno deciso di scioperare sono i seguenti: perché il governo deve assicurare un impegno ed un intervento su tutti i temi del trasporto e non può pensare che l'interlocuzione venga limitata alle sigle confederali; perché il governo deve svolgere il suo ruolo di indirizzo delle politiche del trasporto aereo e di Alitalia; perché il governo deve studiare e realizzare un nuovo piano dei trasporti che ponga fine alla concorrenza; perché l'attuale Piano Industriale non è da implementare, come afferma Cimoli; perché Alitalia ha bisogno di un serio progetto di rilancio che individui una missione industriale e preveda una riqualificazione e la riorganizzazione di tutti i settori e definisca una solida alleanza che non si traduca in una svendita globale che andrebbe a penalizzare l'azienda; perché devono essere bloccati i processi di esternalizzazione di attività e lavoratori; perché i lavoratori Alitalia devono avere un futuro lavorativo in quest'azienda, senza vivere quotidianamente in una situazione di precarietà; perché il rinnovo della parte economica dei contratti di terra e di volo dovrebbe essere un diritto acquisito mentre l'Alitalia non intende onorare gli impegni presi; perché i lavoratori precari nel Gruppo Alitalia sono doppiamente precari: nel lavoro quotidiano e nell'incertezza del futuro. Il Sult ha intenzione di portare avanti la sua battaglia a tutela e garanzia dei lavoratori per un futuro migliore ed un rilancio della società.
di DANIELA GELLI QUATTRO ore di sciopero. È quanto ha in programma per oggi il Sult dalle 12.30 alle 16.30 di concerto con altre sigle dei trasporti per protestare contro la decisione presa dal Governo di limitare la partecipazione alla «Cabina di Regia sui Trasporti» alle sole Cgil, Cisl, Uil e Ugl, escludendo così soggetti sindacali che, come il Sult, hanno una forte rappresentatività nell'ambito del trasporto aereo e in tutti gli altri settori dei trasporti. Lo sciopero, che doveva svolgersi il 6 settembre, era stato rimandato a oggi dopo l'intervento della Commissione di Garanzia. La giornata quindi assume connotazioni più ampie e relative sia a temi riguardanti settori specifici, sia ad aspetti generali che investono l'intero Gruppo. Per i lavoratori del trasporto aereo e dell'Alitalia è quindi fondamentale affrontare una vertenza generale con le controparti e con il governo, facendo fronte comune, senza sottovalutare le problematiche delle singole aziende, delle categorie, dei settori. I motivi per cui gli aderenti al Sult hanno deciso di scioperare sono i seguenti: perché il governo deve assicurare un impegno ed un intervento su tutti i temi del trasporto e non può pensare che l'interlocuzione venga limitata alle sigle confederali; perché il governo deve svolgere il suo ruolo di indirizzo delle politiche del trasporto aereo e di Alitalia; perché il governo deve studiare e realizzare un nuovo piano dei trasporti che ponga fine alla concorrenza; perché l'attuale Piano Industriale non è da implementare, come afferma Cimoli; perché Alitalia ha bisogno di un serio progetto di rilancio che individui una missione industriale e preveda una riqualificazione e la riorganizzazione di tutti i settori e definisca una solida alleanza che non si traduca in una svendita globale che andrebbe a penalizzare l'azienda; perché devono essere bloccati i processi di esternalizzazione di attività e lavoratori; perché i lavoratori Alitalia devono avere un futuro lavorativo in quest'azienda, senza vivere quotidianamente in una situazione di precarietà; perché il rinnovo della parte economica dei contratti di terra e di volo dovrebbe essere un diritto acquisito mentre l'Alitalia non intende onorare gli impegni presi; perché i lavoratori precari nel Gruppo Alitalia sono doppiamente precari: nel lavoro quotidiano e nell'incertezza del futuro. Il Sult ha intenzione di portare avanti la sua battaglia a tutela e garanzia dei lavoratori per un futuro migliore ed un rilancio della società.
Lidl, il low cost pagato dal lavoro (il Manifesto)
L'hard discount europeo sul modello Wal Mart: prezzi stracciati alle spese dei dipendenti Ottanta ore a settimana in filiale, compresi i sabati e le domeniche. Lo scarico dei bancali, le pulizie, i turni iper-flessibili. Capi e cassiere spremuti al massimo, e i prezzi vanno giù. Il sindacato europeo e il blog di Beppe Grillo
Antonio Sciotto
«Non cuciamo i palloni e siamo tutti maggiorenni, ma sopportiamo soprusi e condizioni di lavoro non certo degne di un paese che ha la pretesa di far parte dell'Unione europea: il monte ore mensile, 16 ore al giorno per 28 giorni, è di 448 ore, per una base oraria di 3,48 euro». Sì, proprio 16 ore di lavoro al giorno: si conclude così la lettera di Emanuele D, un giovane quadro della Lidl, pubblicata nel luglio scorso sul blog di Beppe Grillo (beppegrillo.it) e che ha avuto una straordinaria «fortuna». Ben 2907 risposte alla data di ieri: tantissimi colleghi della Lidl, delle grandi catene di distribuzione e non solo, che condividono la stessa condizione di super-lavoro e precarietà. L'hard discount genere Wal Mart - prezzi stracciati e lavoro ai ritmi della schiavitù - ha ormai un solidissimo esponente europeo: si chiama Lidl, è figlio di una potente famiglia del land tedesco del Baden Wuettenberg, gli Schwarz, e si è diffuso a macchia d'olio in venti paesi europei. Tanto che, allo stato attuale, il colosso dei supermercati low cost conta 100 mila dipendenti e 6 mila punti vendita nel continente, dal Portogallo alla Polonia, dalla Finlandia all'Italia. Alla cassa stanno soprattutto le donne - con contratti part time e una retribuzione media mensile di 600 euro al mese. Per i posti di comando, i quadri e i dirigenti, la Lidl seleziona principalmente uomini, perlopiù laureati, che attraverso un durissimo training di 10 mesi vengono portati ad accettare la «filosofia del terrore»: il sottoposto lavora solo se lo maltratti, devi assicurarti che non rubi, e se protesta o si iscrive al sindacato devi fare di tutto per metterlo fuori.
Sarebbe però erroneo descrivere i quadri come «privilegiati»: è vero che guadagnano dai 1300 euro in su e hanno l'auto aziendale, ma sono proprio loro a essere «triturati» per primi dal sistema Lidl. Lavorano il doppio delle ore da contratto (70-80 ore settimanali, senza percepire per questo un doppio salario), sono costretti a scaricare i camion, fare le pulizie e sostituire le cassiere quando manca il personale. Contro gli abusi del «sistema Lidl», ormai collaudato e uniforme in tutta Europa, si è attivato il sindacato tedesco Ver.di, lanciando la «campagna internazionale Lidl». Nel 2004 è stato pubblicato il primo «Libro nero», con le storie dei lavoratori tedeschi. Quest'anno è uscito il «Libro nero europeo», con le vicende dei 20 paesi in cui l'hard discount si è diffuso, Italia compresa. Il manifesto si è recato a Berlino per raccontare la campagna Lidl, e nei prossimi numeri di questa inchiesta-reportage riferiremo dei lavoratori europei e della strategia sindacale dei Ver.di. Per questa prima puntata, abbiamo scelto di dialogare con i quadri e le cassiere italiane.
«Mangio, dormo o mi lavo?»
Prima di entrare in una filiale della Lidl, e parlare con i lavoratori, dobbiamo riferire dei recenti controlli avviati dall'ispettorato del lavoro su alcuni punti vendita: in particolare, gli ispettori si sono recati negli hard discount dell'area Piemonte-Liguria, dove hanno riscontrato - per quel che ci è dato sapere da alcune testimonianze dei lavoratori - irregolarità sulle liste presenza. Un punto non affatto secondario o di rilevanza solo formale: la Lidl, infatti, risparmia proprio sulla «presenza» dei lavoratori nei punti vendita. Nel senso che li mantiene quasi sempre sotto organico, obbligando i dipendenti di livello più alto e i quadri intermedi (capifiliale e capisettore) a lavorare molte più ore di quelle retribuite. Anche sulle cassiere si registrano casi di straordinari non retribuiti, ma i loro orari sono in genere più rigidi e gli abusi non sono abnormi come nel caso dei superiori. Piuttosto, le addette alla cassa subiscono un altro tipo di sopruso: i turni, che per il contratto del commercio dovrebbero essere fissi, vengono cambiati ogni due settimane o addirittura una; spesso anche di giorno in giorno. Così non puoi mai organizzarti la vita fuori dal negozio, né trovarti una seconda occupazione, devi essere sempre a disposizione: una sorta di «lavoro a chiamata».
La prima testimonianza ci viene da uno dei gradini più alti nella piramide Lidl, un quadro. Usiamo un nome di fantasia, Luca, per tutelarlo: ha lavorato 18 mesi per la Lidl, è stato licenziato e adesso è in causa per il reintegro. E' entrato nel gennaio 2005 come «caposettore» dopo una serie di colloqui, per occuparsi di 4 filiali nell'area torinese (ma a un certo punto ne ha avute anche 7 da seguire). Il suo ruolo avrebbe dovuto consistere nell'organizzare e monitorare il lavoro in tutte le filiali: «Al colloquio mi hanno detto che avrei lavorato 38 ore a settimana, ovvero il full time del contratto commercio. Ma subito misero le mani avanti: per il tuo ruolo di responsabilità - dissero - ti chiediamo comunque una "certa elasticità"». Mai Luca avrebbe potuto immaginare che quella «certa elasticità» si sarebbe trasformata in una totale dedizione (fisica e mentale) alla Lidl: orario di lavoro ininterrotto dalle 6,30 del mattino alle 22,30. Quasi sempre dal lunedì al sabato (invece dei cinque giorni da contratto), spesso anche la domenica, giornata dedicata all'inventario. Certo, lo stipendio è di 29 mila euro lordi l'anno, c'è l'auto aziendale, ma cosa te ne fai di un salario decente se non hai tempo per te stesso? E le mansioni? Fare tutto: dallo scaricare pesanti cassoni all'allestimento del banco frutta, dalle pulizie alla sostituzione cassa quando la cassiera finisce il turno. Moltiplicato per 4-5 locali, spesso distanti centinaia di chilometri l'uno dall'altro. Per i primi 6 mesi, in formazione, Luca viene affiancato a diversi capifiliale. «Lavoravano tutti molte più ore di quelle da contratto - racconta - ma nessuno aveva il coraggio di protestare».
Così Luca continua a lavorare circa 16 ore al giorno, spesso senza avere il tempo neppure di mangiare un panino: nei primi tre mesi perde 5 chili, vede 20 capisettore dimettersi «per disperazione». Le domeniche erano quasi sempre regalate all'azienda, tanto che una volta si è trovato a fare 20 giorni consecutivi senza uno di riposo. Spesso veniva svegliato dai capi nel cuore della notte, per improvvise assenze di capifiliale: da Genova doveva così spostarsi a Torino, fare lì l'intera giornata di lavoro, e tornare poi in nottata a Genova, per riprendere l'indomani all'alba. «Arrivato in albergo, ogni sera, mi dicevo: mangio, dormo o mi lavo?». Questi ritmi disumani non figurano affatto sulle liste presenze: i capisettore segnano la «p» di presenza per commesse e capifiliale (loro sottoposti), senza indicare le ore lavorate. Per i capisettore, come Luca, la lista presenze è in mano ai capiarea (superiori con circa una quarantina di negozi), e lui afferma di non averla mai controfirmata. Una notte Luca finisce al pronto soccorso, per il forte stress: gli consigliano di fermarsi perché quei ritmi (e ha solo 28 anni) possono avere serie conseguenze sulla sua salute. Non si ferma, ma sarà la Lidl a liberarsi di lui: per una risposta ritenuta «di insubordinazione» a un capoarea, riceverà di lì a poco la lettera di licenziamento.
Impari tutto al master Lidl
I ritmi disumani di lavoro, e il licenziamento finale, sono capitoli comuni alla storia di Emanuele D., l'ex caposettore Lidl che ha dato origine al blog di Grillo. C'è però una differenza di rilievo: la sua formazione, più recente, è avvenuta a Verona, dove i quadri e dirigenti Lidl frequentano un apposito master: «Lì - spiega Emanuele - ti fanno un lavaggio del cervello: ti spiegano che devi essere spietato con gli addetti vendita e le cassiere, e per tutto il corso della formazione in campo i superiori ti insultano e ti maltrattano, rimproverandoti continuamente per i risultati che non hai ottenuto. Il messaggio è semplice: ti tratto così, poi tu farai lo stesso con i sottoposti». I ritmi di lavoro vengono misurati con delle vere e proprie tabelle di produttività, dividendo il fatturato per le ore lavorate: chi si trova sotto i livelli minimi, deve prepararsi a un fuoco di fila di rimproveri e minacce. «Accade anche per le cassiere - spiega Felicita Magone, addetta vendita ad Albenga e delegata Cgil - Si divide l'incasso per le ore lavorate. Oltre a essere sempre sotto pressione, non possiamo programmarci la vita, o cercare un altro lavoro per integrare uno stipendio che si aggira sui 600 euro: l'orario ci viene comunicato ogni due settimane, e cambia sempre. In molte filiali gli orari cambiano ogni settimana». Le donne sono penalizzate: pochissime arrivano a diventare capofiliali, restano perlopiù al livello di cassiera. «Un capoaerea giustificò questa differenza di genere spiegando che "per una donna è complicato essere già pronta e truccata alle 6,30, quando deve aprire una filiale"», conclude Felicita.
Walter Canta, capofiliale veneto, come Luca ha fatto una bella «cura dimagrante» stile Lidl: in soli dieci mesi di lavoro ha perso ben 8 chili, passando da 66 a 58 chili di peso. Walter racconta più da vicino il lavoro del negozio, perché il capofiliale ha la responsabilità di un solo punto vendita. Anche lui ha fatto 80 ore in media a settimana, sabati e domeniche inclusi, con lo «straordinario» tutto compreso nei cento euro lordi di «superminimo» erogati ogni mese. Ha lasciato perché ha contratto un'infiammazione alle spalle, a causa della «sbancalatura»: lo scarico, a partire dall'alba, di cassoni pesanti dai 10 ai 20 chili. E' un lavoro quotidiano che tocca a tutti i capifiliale e assistenti, così come le infiammazioni alle spalle, molto diffuse. «Per pranzo avevo a stento il tempo di mangiare un cracker, prendendolo dalla tasca, mentre scaricavo - racconta - Contavano le volte che andavo in bagno, ma nessuno protestava: se sbagli ti insultano violentemente». «Non è stato facile lasciare un posto a tempo indeterminato - conclude - oggi 1300 euro al mese assicurati sono una chimera. Ma tra l'infiammazione alla spalla, lo stress e il clima da terrore non ho retto più».
(1. continua)
Antonio Sciotto
«Non cuciamo i palloni e siamo tutti maggiorenni, ma sopportiamo soprusi e condizioni di lavoro non certo degne di un paese che ha la pretesa di far parte dell'Unione europea: il monte ore mensile, 16 ore al giorno per 28 giorni, è di 448 ore, per una base oraria di 3,48 euro». Sì, proprio 16 ore di lavoro al giorno: si conclude così la lettera di Emanuele D, un giovane quadro della Lidl, pubblicata nel luglio scorso sul blog di Beppe Grillo (beppegrillo.it) e che ha avuto una straordinaria «fortuna». Ben 2907 risposte alla data di ieri: tantissimi colleghi della Lidl, delle grandi catene di distribuzione e non solo, che condividono la stessa condizione di super-lavoro e precarietà. L'hard discount genere Wal Mart - prezzi stracciati e lavoro ai ritmi della schiavitù - ha ormai un solidissimo esponente europeo: si chiama Lidl, è figlio di una potente famiglia del land tedesco del Baden Wuettenberg, gli Schwarz, e si è diffuso a macchia d'olio in venti paesi europei. Tanto che, allo stato attuale, il colosso dei supermercati low cost conta 100 mila dipendenti e 6 mila punti vendita nel continente, dal Portogallo alla Polonia, dalla Finlandia all'Italia. Alla cassa stanno soprattutto le donne - con contratti part time e una retribuzione media mensile di 600 euro al mese. Per i posti di comando, i quadri e i dirigenti, la Lidl seleziona principalmente uomini, perlopiù laureati, che attraverso un durissimo training di 10 mesi vengono portati ad accettare la «filosofia del terrore»: il sottoposto lavora solo se lo maltratti, devi assicurarti che non rubi, e se protesta o si iscrive al sindacato devi fare di tutto per metterlo fuori.
Sarebbe però erroneo descrivere i quadri come «privilegiati»: è vero che guadagnano dai 1300 euro in su e hanno l'auto aziendale, ma sono proprio loro a essere «triturati» per primi dal sistema Lidl. Lavorano il doppio delle ore da contratto (70-80 ore settimanali, senza percepire per questo un doppio salario), sono costretti a scaricare i camion, fare le pulizie e sostituire le cassiere quando manca il personale. Contro gli abusi del «sistema Lidl», ormai collaudato e uniforme in tutta Europa, si è attivato il sindacato tedesco Ver.di, lanciando la «campagna internazionale Lidl». Nel 2004 è stato pubblicato il primo «Libro nero», con le storie dei lavoratori tedeschi. Quest'anno è uscito il «Libro nero europeo», con le vicende dei 20 paesi in cui l'hard discount si è diffuso, Italia compresa. Il manifesto si è recato a Berlino per raccontare la campagna Lidl, e nei prossimi numeri di questa inchiesta-reportage riferiremo dei lavoratori europei e della strategia sindacale dei Ver.di. Per questa prima puntata, abbiamo scelto di dialogare con i quadri e le cassiere italiane.
«Mangio, dormo o mi lavo?»
Prima di entrare in una filiale della Lidl, e parlare con i lavoratori, dobbiamo riferire dei recenti controlli avviati dall'ispettorato del lavoro su alcuni punti vendita: in particolare, gli ispettori si sono recati negli hard discount dell'area Piemonte-Liguria, dove hanno riscontrato - per quel che ci è dato sapere da alcune testimonianze dei lavoratori - irregolarità sulle liste presenza. Un punto non affatto secondario o di rilevanza solo formale: la Lidl, infatti, risparmia proprio sulla «presenza» dei lavoratori nei punti vendita. Nel senso che li mantiene quasi sempre sotto organico, obbligando i dipendenti di livello più alto e i quadri intermedi (capifiliale e capisettore) a lavorare molte più ore di quelle retribuite. Anche sulle cassiere si registrano casi di straordinari non retribuiti, ma i loro orari sono in genere più rigidi e gli abusi non sono abnormi come nel caso dei superiori. Piuttosto, le addette alla cassa subiscono un altro tipo di sopruso: i turni, che per il contratto del commercio dovrebbero essere fissi, vengono cambiati ogni due settimane o addirittura una; spesso anche di giorno in giorno. Così non puoi mai organizzarti la vita fuori dal negozio, né trovarti una seconda occupazione, devi essere sempre a disposizione: una sorta di «lavoro a chiamata».
La prima testimonianza ci viene da uno dei gradini più alti nella piramide Lidl, un quadro. Usiamo un nome di fantasia, Luca, per tutelarlo: ha lavorato 18 mesi per la Lidl, è stato licenziato e adesso è in causa per il reintegro. E' entrato nel gennaio 2005 come «caposettore» dopo una serie di colloqui, per occuparsi di 4 filiali nell'area torinese (ma a un certo punto ne ha avute anche 7 da seguire). Il suo ruolo avrebbe dovuto consistere nell'organizzare e monitorare il lavoro in tutte le filiali: «Al colloquio mi hanno detto che avrei lavorato 38 ore a settimana, ovvero il full time del contratto commercio. Ma subito misero le mani avanti: per il tuo ruolo di responsabilità - dissero - ti chiediamo comunque una "certa elasticità"». Mai Luca avrebbe potuto immaginare che quella «certa elasticità» si sarebbe trasformata in una totale dedizione (fisica e mentale) alla Lidl: orario di lavoro ininterrotto dalle 6,30 del mattino alle 22,30. Quasi sempre dal lunedì al sabato (invece dei cinque giorni da contratto), spesso anche la domenica, giornata dedicata all'inventario. Certo, lo stipendio è di 29 mila euro lordi l'anno, c'è l'auto aziendale, ma cosa te ne fai di un salario decente se non hai tempo per te stesso? E le mansioni? Fare tutto: dallo scaricare pesanti cassoni all'allestimento del banco frutta, dalle pulizie alla sostituzione cassa quando la cassiera finisce il turno. Moltiplicato per 4-5 locali, spesso distanti centinaia di chilometri l'uno dall'altro. Per i primi 6 mesi, in formazione, Luca viene affiancato a diversi capifiliale. «Lavoravano tutti molte più ore di quelle da contratto - racconta - ma nessuno aveva il coraggio di protestare».
Così Luca continua a lavorare circa 16 ore al giorno, spesso senza avere il tempo neppure di mangiare un panino: nei primi tre mesi perde 5 chili, vede 20 capisettore dimettersi «per disperazione». Le domeniche erano quasi sempre regalate all'azienda, tanto che una volta si è trovato a fare 20 giorni consecutivi senza uno di riposo. Spesso veniva svegliato dai capi nel cuore della notte, per improvvise assenze di capifiliale: da Genova doveva così spostarsi a Torino, fare lì l'intera giornata di lavoro, e tornare poi in nottata a Genova, per riprendere l'indomani all'alba. «Arrivato in albergo, ogni sera, mi dicevo: mangio, dormo o mi lavo?». Questi ritmi disumani non figurano affatto sulle liste presenze: i capisettore segnano la «p» di presenza per commesse e capifiliale (loro sottoposti), senza indicare le ore lavorate. Per i capisettore, come Luca, la lista presenze è in mano ai capiarea (superiori con circa una quarantina di negozi), e lui afferma di non averla mai controfirmata. Una notte Luca finisce al pronto soccorso, per il forte stress: gli consigliano di fermarsi perché quei ritmi (e ha solo 28 anni) possono avere serie conseguenze sulla sua salute. Non si ferma, ma sarà la Lidl a liberarsi di lui: per una risposta ritenuta «di insubordinazione» a un capoarea, riceverà di lì a poco la lettera di licenziamento.
Impari tutto al master Lidl
I ritmi disumani di lavoro, e il licenziamento finale, sono capitoli comuni alla storia di Emanuele D., l'ex caposettore Lidl che ha dato origine al blog di Grillo. C'è però una differenza di rilievo: la sua formazione, più recente, è avvenuta a Verona, dove i quadri e dirigenti Lidl frequentano un apposito master: «Lì - spiega Emanuele - ti fanno un lavaggio del cervello: ti spiegano che devi essere spietato con gli addetti vendita e le cassiere, e per tutto il corso della formazione in campo i superiori ti insultano e ti maltrattano, rimproverandoti continuamente per i risultati che non hai ottenuto. Il messaggio è semplice: ti tratto così, poi tu farai lo stesso con i sottoposti». I ritmi di lavoro vengono misurati con delle vere e proprie tabelle di produttività, dividendo il fatturato per le ore lavorate: chi si trova sotto i livelli minimi, deve prepararsi a un fuoco di fila di rimproveri e minacce. «Accade anche per le cassiere - spiega Felicita Magone, addetta vendita ad Albenga e delegata Cgil - Si divide l'incasso per le ore lavorate. Oltre a essere sempre sotto pressione, non possiamo programmarci la vita, o cercare un altro lavoro per integrare uno stipendio che si aggira sui 600 euro: l'orario ci viene comunicato ogni due settimane, e cambia sempre. In molte filiali gli orari cambiano ogni settimana». Le donne sono penalizzate: pochissime arrivano a diventare capofiliali, restano perlopiù al livello di cassiera. «Un capoaerea giustificò questa differenza di genere spiegando che "per una donna è complicato essere già pronta e truccata alle 6,30, quando deve aprire una filiale"», conclude Felicita.
Walter Canta, capofiliale veneto, come Luca ha fatto una bella «cura dimagrante» stile Lidl: in soli dieci mesi di lavoro ha perso ben 8 chili, passando da 66 a 58 chili di peso. Walter racconta più da vicino il lavoro del negozio, perché il capofiliale ha la responsabilità di un solo punto vendita. Anche lui ha fatto 80 ore in media a settimana, sabati e domeniche inclusi, con lo «straordinario» tutto compreso nei cento euro lordi di «superminimo» erogati ogni mese. Ha lasciato perché ha contratto un'infiammazione alle spalle, a causa della «sbancalatura»: lo scarico, a partire dall'alba, di cassoni pesanti dai 10 ai 20 chili. E' un lavoro quotidiano che tocca a tutti i capifiliale e assistenti, così come le infiammazioni alle spalle, molto diffuse. «Per pranzo avevo a stento il tempo di mangiare un cracker, prendendolo dalla tasca, mentre scaricavo - racconta - Contavano le volte che andavo in bagno, ma nessuno protestava: se sbagli ti insultano violentemente». «Non è stato facile lasciare un posto a tempo indeterminato - conclude - oggi 1300 euro al mese assicurati sono una chimera. Ma tra l'infiammazione alla spalla, lo stress e il clima da terrore non ho retto più».
(1. continua)
Nessuna pace per i call center (Liberazione)
A Cagliari occupata azienda. Tripi chiede una sanatoria.
Un call center occupato, a Cagliari, da 100 lavoratori, licenziati e in attesa degli stipendi arretrati; i call center di Inps e Inail, vinti in appalto da Poste Italiane e poi subappaltati a società private, che non vogliono applicare la direttiva del ministro Damiano che obbliga ad assunzioni con contratti subordinati i lavoratori dell'inbound; e due lettere di Alberto Tripi, presidente di Fita-Confindustria nelle quali invita i propri iscritti a «mettere in campo tutte le possibili azioni di lobby» contro «continui e irresponsabili attacchi alla flessibilità del lavoro e ai contratti a progetto da parte di alcuni esponenti della politica e delle parti sociali». Mentre si avvicina la data del 29 settembre, prima manifestazione nazionale dei lavoratori dei call center, il clima nel settore si fa sempre più incandescente.
A Cagliari i lavoratori della Laer, aderenti al sindacato autonomo Zona Deprecarizzata (tra i promotori della manifestazione del 29) hanno deciso ieri di occupare la sede del proprio call center, dopo che l'amministratore delegato Roberto Lupo aveva loro comunicato il licenziamento, il mancato pagamento degli stipendi arretrati (circa 150 mila euro) e la chiusura dei locali.
A Bitritto, in provincia di Bari, chiude il call center Intouch, nel 2002 vincitrice insieme a Poste Italiane dell'appalto per la gestione dello “sportello virtuale” di Inps e Inail. Ai sindacati che chiedevano l'assunzione con contratti subordinati (come previsto dalla circolare di Damiano) l'azienda ha risposto con la decisione di ritirarsi dalla commessa, a pochi giorni dalla scadenza del contratto di cocoprò di 60 lavoratori. I precari saranno però assunti dalla Omnia, altra titolare dell'appalto, sempre con un contratto parasubordinato. In attesa- a quanto sostiene l'azienda- di notizie certe sulla copertura economica dei contratti da parte di Inps e Inail. Un silenzio per nulla giustificato, dato che già il 2 agosto il ministero del Lavoro e l'amministratore delegato di Poste Italiane avevano annunciato centinaia di assunzioni nei propri call center. L'appalto in questione, tra l'altro, fu vinto nel 2002 da una cordata composta da Poste Italiane, Omina e Intouch con un costo per il servizio operatori (circa 7 milioni) di gran lunga inferiore a quanto necessario per pagare i lavoratori. Un chiaro caso di dumping contrattuale, del quale era stato allora vittima proprio Alberto Tripi, proprietario di Atesia e di Cos, sconfitto nella gara d’appalto dall'offerta stracciata dell'azienda pubblica.
E proprio Alberto Tripi ha inviato agli iscritti di Fita-Confindustria, associazione di cui è presidente, una lettera che invita alla lotta contro gli oppositori della precarietà del lavoro; stesso mittente per una missiva inviata a 7 ministri nella quale si chiede al governo di portare avanti il percorso avviato dalla Circolare del ministro Damiano sui call center e di «escludere qualunque forma di retroattività contributiva relativa a collaborazioni lavorative pregresse e contrattualizzate in applicazione della legge 30»: in poche parole è la richiesta di un colpo di spugna rispetto a quanto deciso dagli ispettori del lavoro in Atesia, che hanno costretto l'azienda all'assunzione di 3800 cocoprò e al pagamento dei contributi pregressi per altri 10 mila. Partendo dall'equazione «diminuizione di flessibilità= calo competitività = meno occupazione» il proprietario di Atesia continua a minacciare di «delocalizzare le attività all'estero». Questa volta, però, è una minaccia che porta nel timbro l'aquilotto di Confindustria
Un call center occupato, a Cagliari, da 100 lavoratori, licenziati e in attesa degli stipendi arretrati; i call center di Inps e Inail, vinti in appalto da Poste Italiane e poi subappaltati a società private, che non vogliono applicare la direttiva del ministro Damiano che obbliga ad assunzioni con contratti subordinati i lavoratori dell'inbound; e due lettere di Alberto Tripi, presidente di Fita-Confindustria nelle quali invita i propri iscritti a «mettere in campo tutte le possibili azioni di lobby» contro «continui e irresponsabili attacchi alla flessibilità del lavoro e ai contratti a progetto da parte di alcuni esponenti della politica e delle parti sociali». Mentre si avvicina la data del 29 settembre, prima manifestazione nazionale dei lavoratori dei call center, il clima nel settore si fa sempre più incandescente.
A Cagliari i lavoratori della Laer, aderenti al sindacato autonomo Zona Deprecarizzata (tra i promotori della manifestazione del 29) hanno deciso ieri di occupare la sede del proprio call center, dopo che l'amministratore delegato Roberto Lupo aveva loro comunicato il licenziamento, il mancato pagamento degli stipendi arretrati (circa 150 mila euro) e la chiusura dei locali.
A Bitritto, in provincia di Bari, chiude il call center Intouch, nel 2002 vincitrice insieme a Poste Italiane dell'appalto per la gestione dello “sportello virtuale” di Inps e Inail. Ai sindacati che chiedevano l'assunzione con contratti subordinati (come previsto dalla circolare di Damiano) l'azienda ha risposto con la decisione di ritirarsi dalla commessa, a pochi giorni dalla scadenza del contratto di cocoprò di 60 lavoratori. I precari saranno però assunti dalla Omnia, altra titolare dell'appalto, sempre con un contratto parasubordinato. In attesa- a quanto sostiene l'azienda- di notizie certe sulla copertura economica dei contratti da parte di Inps e Inail. Un silenzio per nulla giustificato, dato che già il 2 agosto il ministero del Lavoro e l'amministratore delegato di Poste Italiane avevano annunciato centinaia di assunzioni nei propri call center. L'appalto in questione, tra l'altro, fu vinto nel 2002 da una cordata composta da Poste Italiane, Omina e Intouch con un costo per il servizio operatori (circa 7 milioni) di gran lunga inferiore a quanto necessario per pagare i lavoratori. Un chiaro caso di dumping contrattuale, del quale era stato allora vittima proprio Alberto Tripi, proprietario di Atesia e di Cos, sconfitto nella gara d’appalto dall'offerta stracciata dell'azienda pubblica.
E proprio Alberto Tripi ha inviato agli iscritti di Fita-Confindustria, associazione di cui è presidente, una lettera che invita alla lotta contro gli oppositori della precarietà del lavoro; stesso mittente per una missiva inviata a 7 ministri nella quale si chiede al governo di portare avanti il percorso avviato dalla Circolare del ministro Damiano sui call center e di «escludere qualunque forma di retroattività contributiva relativa a collaborazioni lavorative pregresse e contrattualizzate in applicazione della legge 30»: in poche parole è la richiesta di un colpo di spugna rispetto a quanto deciso dagli ispettori del lavoro in Atesia, che hanno costretto l'azienda all'assunzione di 3800 cocoprò e al pagamento dei contributi pregressi per altri 10 mila. Partendo dall'equazione «diminuizione di flessibilità= calo competitività = meno occupazione» il proprietario di Atesia continua a minacciare di «delocalizzare le attività all'estero». Questa volta, però, è una minaccia che porta nel timbro l'aquilotto di Confindustria
Precari della scuola: parole e fatti, anzi numeri
Precari: Parole e Fatti anzi Numeri
di Libero Tassella
Il problema dei Precari viene considerato un’emergenza della scuola. Il ministro punta il dito sul sistema precarizzante: la soluzione sarà completa solo se dopo aver sistemato i precari, si rivedrà il sistema (dalla relazione della Coordinatrice Regionale dell'Emilia Romagna Cinzia Piccinini in occasione dell'intervento del Ministro Fioroni a Bologna in occasione dell' apertura dell'anno scolastico).
Ho letto molto di quello che Fioroni ha scritto e detto sul precariato docente in questi suoi primi mesi da Ministro, parole giuste, ma solo parole. La sua richiesta di ulteriori 20.000 immissioni in ruolo del 31.5.2006, che tante attese aveva suscitato tra i precari, è rimasta purtroppo lettera morta.
Parole d'ordine del ministro sono ora: aspettare, graduale riduzione, piano pluriennale, compatibilità economica, mentre nel programma della maggioranza che lo ha portato al governo, leggevamo "immediata copertura di tutti i posti vacanti, immettendo in ruolo chi già da anni lavora nella scuola" La verità, come sempre, non sta nelle autorevoli e condivisibili parole del ministro ma è nei fatti e cioè nei numeri: per il 2006/2007 i posti vacanti all'1 .9.2006 erano 62.461 di cui 29.463 per pensionamento; le immissioni in ruolo sono state invece appena 20.000 (solo quelle della Moratti, non una in più), nemmeno 1/3 dei posti vacanti e meno dei posti lasciati liberi dal turn over 2006/2007, un' operazione in pratica a costo zero; anche un bambino capirebbe che se escono 29.463 docenti con posizioni apicali di stipendio e entrano 20.000 con posizione iniziale, le casse dello Stato ne hanno addirittura un ristoro immediato.
Per il prossimo anno si prevedono 30.000 pensionati all'1.9.2007 e a fronte di 72.461 (42.461 (2006)+ 30.000 (2007) posti vacanti, si faranno appena 10.000 (sempre quelle della Moratti) immissioni in ruolo, neanche 1/7 dei posti vacanti e appena 1/3 dei pensionamenti; in pratica ancora un'operazione a costo zero, anzi con un guadagno per lo Stato, con il risultato che per il 2007/2008 il dato della precarizzazione dei docenti sarà ancora in aumento. Se la precarizzazione debba essere un dato strutturale nella politica del personale della scuola è quello che l'attuale Governo di centro sinistra ci dovrà far capire, considerato che a parole è contrario alla precarizzazione, dovrà dimostrarlo nei fatti, e i fatti, i numeri, fino a questo momento, dicono purtroppo il contrario delle parole.
Libero Tassella
(coordinatore provinciale della Gilda degli insegnanti).
di Libero Tassella
Il problema dei Precari viene considerato un’emergenza della scuola. Il ministro punta il dito sul sistema precarizzante: la soluzione sarà completa solo se dopo aver sistemato i precari, si rivedrà il sistema (dalla relazione della Coordinatrice Regionale dell'Emilia Romagna Cinzia Piccinini in occasione dell'intervento del Ministro Fioroni a Bologna in occasione dell' apertura dell'anno scolastico).
Ho letto molto di quello che Fioroni ha scritto e detto sul precariato docente in questi suoi primi mesi da Ministro, parole giuste, ma solo parole. La sua richiesta di ulteriori 20.000 immissioni in ruolo del 31.5.2006, che tante attese aveva suscitato tra i precari, è rimasta purtroppo lettera morta.
Parole d'ordine del ministro sono ora: aspettare, graduale riduzione, piano pluriennale, compatibilità economica, mentre nel programma della maggioranza che lo ha portato al governo, leggevamo "immediata copertura di tutti i posti vacanti, immettendo in ruolo chi già da anni lavora nella scuola" La verità, come sempre, non sta nelle autorevoli e condivisibili parole del ministro ma è nei fatti e cioè nei numeri: per il 2006/2007 i posti vacanti all'1 .9.2006 erano 62.461 di cui 29.463 per pensionamento; le immissioni in ruolo sono state invece appena 20.000 (solo quelle della Moratti, non una in più), nemmeno 1/3 dei posti vacanti e meno dei posti lasciati liberi dal turn over 2006/2007, un' operazione in pratica a costo zero; anche un bambino capirebbe che se escono 29.463 docenti con posizioni apicali di stipendio e entrano 20.000 con posizione iniziale, le casse dello Stato ne hanno addirittura un ristoro immediato.
Per il prossimo anno si prevedono 30.000 pensionati all'1.9.2007 e a fronte di 72.461 (42.461 (2006)+ 30.000 (2007) posti vacanti, si faranno appena 10.000 (sempre quelle della Moratti) immissioni in ruolo, neanche 1/7 dei posti vacanti e appena 1/3 dei pensionamenti; in pratica ancora un'operazione a costo zero, anzi con un guadagno per lo Stato, con il risultato che per il 2007/2008 il dato della precarizzazione dei docenti sarà ancora in aumento. Se la precarizzazione debba essere un dato strutturale nella politica del personale della scuola è quello che l'attuale Governo di centro sinistra ci dovrà far capire, considerato che a parole è contrario alla precarizzazione, dovrà dimostrarlo nei fatti, e i fatti, i numeri, fino a questo momento, dicono purtroppo il contrario delle parole.
Libero Tassella
(coordinatore provinciale della Gilda degli insegnanti).
Mussi: «Politici strapagati, studiosi alla fame»
IL PIANO IL MINISTRO ANNUNCIA UN PACCHETTO DA 1,5 MILIARDI PER INCENTIVARE L’INNOVAZIONE IN ATENEI E AZIENDE
«Politici strapagati, studiosi alla fame»
Mussi: «Uno scandalo, io guadagno come cinque dirigenti di ricerca»
20/9/2006
di Raffaello Masci
ROMA. «Non è sensato che un parlamentare come me guadagni come cinque dirigenti di istituti di ricerca messi insieme». La frase di Fabio Mussi, ministro dell’Università e della Ricerca, è di forte effetto. E più tardi, parlando della governance dell’università, rincarerà la dose: «Entrando nell'Università italiana, ho trovato solo un discreto bordello!» Nella platea raccolta per la quarta giornata della Ricerca, promossa da Confindustria, scoppia l’applauso.
Il senso politico di quelle parole è chiaro ed è largamente condiviso dagli imprenditori: per rilanciare il sistema paese serve un forte investimento sul sapere. «Mi ha soddisfatto l’intervento di Mussi - ha commentato il leader di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo - perché credo che ci siano molti punti di identità con noi. Il problema è passare ora dai progetti alle decisioni operative». E Confindustria, attraverso il suo vicepresidente per l’Innovazione Pasquale Pistorio, ha suggerito una serie di proposte, tra cui un automatismo degli incentivi, una leva fiscale per agire sugli investimenti e un credito d’imposta per i finanziamenti agli enti di ricerca. Il «pacchetto» costerebbe circa 1,5 miliardi di euro che è - secondo Mussi - esattamente la cifra a cui il governo intende innalzare le risorse per la ricerca. Il ministro ha quindi dato argomentazioni alla sua linea: «I nostri ricercatori - ha detto - sono al terzo posto per pubblicazioni scientifiche dopo Usa e Gran Bretagna. Non possiamo accettare che il loro lavoro sia precario e mal pagato fino alla pensione». Rispetto a un politico, in effetti, un alto dirigente del sistema pubblico di ricerca, prende giusto un quinto: lo stipendio di un parlamentare oscilla tra i 10 e i 12 mila euro al mese, quello di un ricercatore di prima fascia supera appena i duemila euro e neppure a fine carriera va oltre i tre. Duro, quindi, il giudizio di Mussi: «È intollerabile che un giovane che si consuma le scarpe in qualche ufficio politico o consiglio comunale guadagni più di un ricercatore che ha studiato per anni». Possibile? Possibile.La classe politica italiana è strapagata e numerosissima: se la posizione di Fabio Mussi costituisce l’empireo - deputato e ministro - c’è una ricca serie B, più le serie cadette.
Dei deputati si è detto. Se questi parlamentari però sono anche ministri, bisogna aggiungere una ulteriore indennità che oscilla tra i 2 e i tremila euro. Lo stesso trattamento è previsto anche per i viceministri e i sottosegretari.
Non che i consiglieri regionali siano trattati peggio.
Il loro emolumento è deciso dai vari Consigli, ma «può» (il che vuol dire «deve») essere equiparato a quello dei parlamentari: tra i 120 e i 150 mila euro l’anno. Provincie e comuni variano invece molto. Degli oltre 8 mila comuni d’Italia, circa 5 mila sono sotto i tremila abitanti e lì i consiglieri quasi mai prendono un gettone, mentre i sindaci tendono ad attribuirsi uno stipendio che quasi mai scende sotto i tremila euro e può arrivare a quello dei parlamentari per i vertici delle grandi città. Anche le circoscrizioni pagano i loro consiglieri: nelle piccole città ciascuno riceve tra i 500 e i 700 euro al mese, ma quelli di Roma e delle metropoli possono perfino vivere di questo incarico elettivo: lo stipendio è di 2 mila euro. E i ricercatori? Vivono, in confronto, con un tozzo di pane. Intanto, su una platea di 18 mila addetti, circa il 40% è costituito da precari: assegnisti, borsisti, co.co.co di varia natura, la cui retribuzione oscilla tra i 600 e i 900 euro al mese. Per i mesi in cui lavorano. Poi niente. Tutti però devono avere una laurea, un dottorato di ricerca, varie pubblicazioni alle spalle e il dominio di alcune lingue.Il fausto giorno in cui vengono finalmente assunti (mai prima dei 35 anni), arrivano a prendere mille e cinquecento euro.
Ma la strada è ancora lunga per diventare «primo ricercatore», soglia che si può varcare anche a 50 anni, e solo allora si svolta la soglia dei 2 mila euro. Una ristrettissima fetta di ricercatori, poi, accede alla carica di «direttore di ricerca». Sono i cosiddetti «grandi professori», spesso nominati direttamente dal governo. Bene: tremila euro li vedono solo questi ultimi. Meglio fare il consigliere alla provincia di Isernia, non c’è dubbio.
«Politici strapagati, studiosi alla fame»
Mussi: «Uno scandalo, io guadagno come cinque dirigenti di ricerca»
20/9/2006
di Raffaello Masci
ROMA. «Non è sensato che un parlamentare come me guadagni come cinque dirigenti di istituti di ricerca messi insieme». La frase di Fabio Mussi, ministro dell’Università e della Ricerca, è di forte effetto. E più tardi, parlando della governance dell’università, rincarerà la dose: «Entrando nell'Università italiana, ho trovato solo un discreto bordello!» Nella platea raccolta per la quarta giornata della Ricerca, promossa da Confindustria, scoppia l’applauso.
Il senso politico di quelle parole è chiaro ed è largamente condiviso dagli imprenditori: per rilanciare il sistema paese serve un forte investimento sul sapere. «Mi ha soddisfatto l’intervento di Mussi - ha commentato il leader di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo - perché credo che ci siano molti punti di identità con noi. Il problema è passare ora dai progetti alle decisioni operative». E Confindustria, attraverso il suo vicepresidente per l’Innovazione Pasquale Pistorio, ha suggerito una serie di proposte, tra cui un automatismo degli incentivi, una leva fiscale per agire sugli investimenti e un credito d’imposta per i finanziamenti agli enti di ricerca. Il «pacchetto» costerebbe circa 1,5 miliardi di euro che è - secondo Mussi - esattamente la cifra a cui il governo intende innalzare le risorse per la ricerca. Il ministro ha quindi dato argomentazioni alla sua linea: «I nostri ricercatori - ha detto - sono al terzo posto per pubblicazioni scientifiche dopo Usa e Gran Bretagna. Non possiamo accettare che il loro lavoro sia precario e mal pagato fino alla pensione». Rispetto a un politico, in effetti, un alto dirigente del sistema pubblico di ricerca, prende giusto un quinto: lo stipendio di un parlamentare oscilla tra i 10 e i 12 mila euro al mese, quello di un ricercatore di prima fascia supera appena i duemila euro e neppure a fine carriera va oltre i tre. Duro, quindi, il giudizio di Mussi: «È intollerabile che un giovane che si consuma le scarpe in qualche ufficio politico o consiglio comunale guadagni più di un ricercatore che ha studiato per anni». Possibile? Possibile.La classe politica italiana è strapagata e numerosissima: se la posizione di Fabio Mussi costituisce l’empireo - deputato e ministro - c’è una ricca serie B, più le serie cadette.
Dei deputati si è detto. Se questi parlamentari però sono anche ministri, bisogna aggiungere una ulteriore indennità che oscilla tra i 2 e i tremila euro. Lo stesso trattamento è previsto anche per i viceministri e i sottosegretari.
Non che i consiglieri regionali siano trattati peggio.
Il loro emolumento è deciso dai vari Consigli, ma «può» (il che vuol dire «deve») essere equiparato a quello dei parlamentari: tra i 120 e i 150 mila euro l’anno. Provincie e comuni variano invece molto. Degli oltre 8 mila comuni d’Italia, circa 5 mila sono sotto i tremila abitanti e lì i consiglieri quasi mai prendono un gettone, mentre i sindaci tendono ad attribuirsi uno stipendio che quasi mai scende sotto i tremila euro e può arrivare a quello dei parlamentari per i vertici delle grandi città. Anche le circoscrizioni pagano i loro consiglieri: nelle piccole città ciascuno riceve tra i 500 e i 700 euro al mese, ma quelli di Roma e delle metropoli possono perfino vivere di questo incarico elettivo: lo stipendio è di 2 mila euro. E i ricercatori? Vivono, in confronto, con un tozzo di pane. Intanto, su una platea di 18 mila addetti, circa il 40% è costituito da precari: assegnisti, borsisti, co.co.co di varia natura, la cui retribuzione oscilla tra i 600 e i 900 euro al mese. Per i mesi in cui lavorano. Poi niente. Tutti però devono avere una laurea, un dottorato di ricerca, varie pubblicazioni alle spalle e il dominio di alcune lingue.Il fausto giorno in cui vengono finalmente assunti (mai prima dei 35 anni), arrivano a prendere mille e cinquecento euro.
Ma la strada è ancora lunga per diventare «primo ricercatore», soglia che si può varcare anche a 50 anni, e solo allora si svolta la soglia dei 2 mila euro. Una ristrettissima fetta di ricercatori, poi, accede alla carica di «direttore di ricerca». Sono i cosiddetti «grandi professori», spesso nominati direttamente dal governo. Bene: tremila euro li vedono solo questi ultimi. Meglio fare il consigliere alla provincia di Isernia, non c’è dubbio.
Palermo: Assunti parenti di politici locali per contare i tombini
Palermo: Assunti parenti di politici locali per contare i tombini
Martedì, 19 settembre
Cinquanta sono stati assunti per contare quotidianamente i tombini delle città, altri 20 per controllare che i primi svolgano il delicato' compito loro assegnato. Succede a Palermo dove, grazie anche ad una normativa che lo consente, nove mesi addietro una società a partecipazione comunale, la "Palermo ambiente", ha assunto a tempo indeterminato e per chiamata diretta, 70 ex precari ai quali paga uno stipendio di 800 euro al mese.
La storia degli 'ispettori ambientali' palermitani viene raccontata oggi da 'Repubblica' che rileva come il reclutamento' sia avvenuto in maniera assolutamente bipartisan: gli assunti sono rigorosamente tutti parenti di esponenti politici di entrambi gli schieramenti. Gli ispettori ambientali di Palermo sono stati formati con un corso finanziato in parte dalla Comunità europea e nove mesi addietro, dopo sette anni di precariato, sono stati assunti a tempo indeterminato. Ogni mattina escono dall'ufficio e si dirigono verso un quartiere per contare i tombini e le feritoie sui marciapiedi, quelle per il deflusso delle acque piovane. Poi tornano in ufficio con un foglio zeppo di numeri: la lista dei tombini di Palermo.
Talvolta - sostiene ancora Repubblica - ricevono l'ordine di fotografarli, uno per uno, rione per rione. Intanto la Procura di Palermo che ha aperto una inchiesta per accertare eventuali irregolarità nelle complessive 400 assunzioni effettuate da varie società municipalizzate di Palermo dal 2001 fino a qualche mese addietro, ha iscritto nel registro degli indagati i nomi di 13 neo assunti, che avrebbero nel curriculum presentato avrebbero fatto false dichiarazioni. La vicenda della assunzioni nelle municipalizzate è diventata anche un caso politico. I partiti del centro sinistra in consiglio comunale, chiedono le dimissioni di presidenti delle aziende che gestisconoi servizi comunali, mentre il sindaco Diego Cammarata (FI), affermando che non c'è stata alcuna violazione della legge, chiede la pubblicazione dei nomi di tutti i dipendenti.
Martedì, 19 settembre
Cinquanta sono stati assunti per contare quotidianamente i tombini delle città, altri 20 per controllare che i primi svolgano il delicato' compito loro assegnato. Succede a Palermo dove, grazie anche ad una normativa che lo consente, nove mesi addietro una società a partecipazione comunale, la "Palermo ambiente", ha assunto a tempo indeterminato e per chiamata diretta, 70 ex precari ai quali paga uno stipendio di 800 euro al mese.
La storia degli 'ispettori ambientali' palermitani viene raccontata oggi da 'Repubblica' che rileva come il reclutamento' sia avvenuto in maniera assolutamente bipartisan: gli assunti sono rigorosamente tutti parenti di esponenti politici di entrambi gli schieramenti. Gli ispettori ambientali di Palermo sono stati formati con un corso finanziato in parte dalla Comunità europea e nove mesi addietro, dopo sette anni di precariato, sono stati assunti a tempo indeterminato. Ogni mattina escono dall'ufficio e si dirigono verso un quartiere per contare i tombini e le feritoie sui marciapiedi, quelle per il deflusso delle acque piovane. Poi tornano in ufficio con un foglio zeppo di numeri: la lista dei tombini di Palermo.
Talvolta - sostiene ancora Repubblica - ricevono l'ordine di fotografarli, uno per uno, rione per rione. Intanto la Procura di Palermo che ha aperto una inchiesta per accertare eventuali irregolarità nelle complessive 400 assunzioni effettuate da varie società municipalizzate di Palermo dal 2001 fino a qualche mese addietro, ha iscritto nel registro degli indagati i nomi di 13 neo assunti, che avrebbero nel curriculum presentato avrebbero fatto false dichiarazioni. La vicenda della assunzioni nelle municipalizzate è diventata anche un caso politico. I partiti del centro sinistra in consiglio comunale, chiedono le dimissioni di presidenti delle aziende che gestisconoi servizi comunali, mentre il sindaco Diego Cammarata (FI), affermando che non c'è stata alcuna violazione della legge, chiede la pubblicazione dei nomi di tutti i dipendenti.
Ascoli Satriano: accordo sui lavoratori dell'igiene urbana: stabilizzata la precarietà
Ascoli Satriano, sottoscritto l’accordo per la stabilizzazione dei lavoratori dell’igiene urbana. Soddisfatta la Cisl. Ai lavoratori tutte le garanzie previste dal CCNL. “Un’altra vittoria della Cisl nella battaglia per dare stabilità ai lavoratori precari di Capitanata”. E’ il commento del segretario generale della Fit Cisl di Foggia, Fabrizio Manuppelli, a seguito dell’accordo siglato il 18 settembre 2006, presso la sede comunale della Cisl di Ascoli Satriano, con il quale è stata raggiunta la stabilizzazione di 6 lavoratori atipici, che operavano cioè con contratto di collaborazione coordinata e continuativa".
“Con l’accordo sottoscritto tra le parti – afferma Manuppelli – è stato definitivamente risolto il problema di questi lavoratori, fino ad oggi precari, ai quali sarà applicato il contratto collettivo nazionale del comparto igiene ambientale. Questo significa – spiega il sindacalista - che anch’essi godranno di tutte le garanzie contrattuali in materia di previdenza, ferie, malattie infortuni, livelli retributivi e quant’altro. Inoltre, per i lavoratori è prevista l’importante garanzia di stabilità ad ogni scadenza di appalto. Un risultato molto positivo – continua il segretario provinciale della Fit Cisl – conseguito attraverso il lavoro di squadra messo a punto con il segretario della USC CISL di Ascoli Satriano, Michele Cautillo, coadiuvati dalle buone intenzioni dell’Amministrazione Comunale e la forte disponibilità registrata – conclude Manuppelli - da parte della ditta aggiudicataria dell’appalto, la C.S.S. di Torremaggiore”.
“Con l’accordo sottoscritto tra le parti – afferma Manuppelli – è stato definitivamente risolto il problema di questi lavoratori, fino ad oggi precari, ai quali sarà applicato il contratto collettivo nazionale del comparto igiene ambientale. Questo significa – spiega il sindacalista - che anch’essi godranno di tutte le garanzie contrattuali in materia di previdenza, ferie, malattie infortuni, livelli retributivi e quant’altro. Inoltre, per i lavoratori è prevista l’importante garanzia di stabilità ad ogni scadenza di appalto. Un risultato molto positivo – continua il segretario provinciale della Fit Cisl – conseguito attraverso il lavoro di squadra messo a punto con il segretario della USC CISL di Ascoli Satriano, Michele Cautillo, coadiuvati dalle buone intenzioni dell’Amministrazione Comunale e la forte disponibilità registrata – conclude Manuppelli - da parte della ditta aggiudicataria dell’appalto, la C.S.S. di Torremaggiore”.
19.9.06
Perugia 20/10: Precariot nite
PRECARIOT NITE
C.S.A. Ex MATTATOIO- via della Valtiera 23. Ponte San Giovanni
Elettromilitanza!!!!!
Serata di musica elettro-killerpop con il collettivo d&vj Radikal Connector per il finanziamento della rivista autoprodotta dal precariato metropolitano ribelle perugino PRECARIOT
C.S.A. Ex MATTATOIO- via della Valtiera 23. Ponte San Giovanni
Elettromilitanza!!!!!
Serata di musica elettro-killerpop con il collettivo d&vj Radikal Connector per il finanziamento della rivista autoprodotta dal precariato metropolitano ribelle perugino PRECARIOT
Incontrotempo 3.0
INCONTROTEMPO 3.0
FESTIVAL DEL PRECARIATO METROPOLITANO
..verso la cospirazione precaria..
per connettere intelligenze
per valorizzare esperienze
per produrre lotte
per praticare cooperazione
per attivare comunicazione
per respirare insieme
idee, proposte immagini, suoni, incontri
ROMA, VENERDI' 20, SABATO 21 E DOMENICA 22 OTTOBRE 2006
AL LOA ACROBAX, VIA DELLA VASCA NAVALE 6
INFO E CONTATTI : info@acrobax.org
A breve il programma
FESTIVAL DEL PRECARIATO METROPOLITANO
..verso la cospirazione precaria..
per connettere intelligenze
per valorizzare esperienze
per produrre lotte
per praticare cooperazione
per attivare comunicazione
per respirare insieme
idee, proposte immagini, suoni, incontri
ROMA, VENERDI' 20, SABATO 21 E DOMENICA 22 OTTOBRE 2006
AL LOA ACROBAX, VIA DELLA VASCA NAVALE 6
INFO E CONTATTI : info@acrobax.org
A breve il programma
18.9.06
Giovani e lavoro: una ricerca
Rapporto di Ricerca:
Sfide, rischi, opportunità del mondo flessibile. Uno studio sulla vita quotidiana dei giovani lavoratori
(giugno 2006)
Scarica (pdf)
Sfide, rischi, opportunità del mondo flessibile. Uno studio sulla vita quotidiana dei giovani lavoratori
(giugno 2006)
Scarica (pdf)
Call center Arese. Venerdì 22/9 assemblea con Atesia
Prepariamo per il 29 settembre la
MANIFESTAZIONE A ROMA DEI CALL CENTER,
lo sciopero nazionale dei call center di novembre e le prossime mobilitazioni contro la legge finanziaria
Venerdì 22 settembre ore 20.45
ALFA ROMEO – Arese – portineria PESA
c/o il capannone occupato
(autostr. MI-Laghi, uscita ARESE, a 10 min. da MI)
assemblea pubblica per
· eliminare le leggi 30 e Treu
· stabilizzare tutti i lavoratori precari
· reintegro dei licenziati
· migliorare le condizioni di lavoro
· + salario e – orario. No ai turni selvaggi
· basta schiavismo per italiani e migranti
· lotta unitaria tra precari e non
Partecipano:
►Maurizio Destro, collettivo precari ATESIA.
►Pina Ricchiuti, Slai Cobas InAction/COS Arese/Basiglio
►Orazio Calì, precari E.L. Sicilia, esec. naz. Slai Cobas.
►Vincenzo Lilliu, Slai Cobas Alfa Romeo.
►Precari Sea, comune Milano, cooperative, cassintegrati Alfa, disoccupati e precari della zona, legali Slai .
ORGANIZZANO L’ASSEMBLEA LE LAVORATRICI DEL CALL CENTER
· Ad Arese 404 lavoratrici del call center (stesso padrone TRIPI di Atesia) spostate a Basiglio a 30 km di distanza
· E 400 cassintegrati dell’Alfa sono IN LOTTA da 4 anni contro i padroni e le istituzioni che vogliono liberarsi di loro per sostituirli con precari senza diritti: negli ultimi mesi hanno già assunto nell’area ex Alfa 400 precari, costretti a lavorare in condizioni schiavistiche.
RIBELLIAMOCI !
Pretendiamo il posto fisso per tutti !
SLAI COBAS CALL CENTER InAction
http://www.slaicobasmilano.org/
MANIFESTAZIONE A ROMA DEI CALL CENTER,
lo sciopero nazionale dei call center di novembre e le prossime mobilitazioni contro la legge finanziaria
Venerdì 22 settembre ore 20.45
ALFA ROMEO – Arese – portineria PESA
c/o il capannone occupato
(autostr. MI-Laghi, uscita ARESE, a 10 min. da MI)
assemblea pubblica per
· eliminare le leggi 30 e Treu
· stabilizzare tutti i lavoratori precari
· reintegro dei licenziati
· migliorare le condizioni di lavoro
· + salario e – orario. No ai turni selvaggi
· basta schiavismo per italiani e migranti
· lotta unitaria tra precari e non
Partecipano:
►Maurizio Destro, collettivo precari ATESIA.
►Pina Ricchiuti, Slai Cobas InAction/COS Arese/Basiglio
►Orazio Calì, precari E.L. Sicilia, esec. naz. Slai Cobas.
►Vincenzo Lilliu, Slai Cobas Alfa Romeo.
►Precari Sea, comune Milano, cooperative, cassintegrati Alfa, disoccupati e precari della zona, legali Slai .
ORGANIZZANO L’ASSEMBLEA LE LAVORATRICI DEL CALL CENTER
· Ad Arese 404 lavoratrici del call center (stesso padrone TRIPI di Atesia) spostate a Basiglio a 30 km di distanza
· E 400 cassintegrati dell’Alfa sono IN LOTTA da 4 anni contro i padroni e le istituzioni che vogliono liberarsi di loro per sostituirli con precari senza diritti: negli ultimi mesi hanno già assunto nell’area ex Alfa 400 precari, costretti a lavorare in condizioni schiavistiche.
RIBELLIAMOCI !
Pretendiamo il posto fisso per tutti !
SLAI COBAS CALL CENTER InAction
http://www.slaicobasmilano.org/
13.9.06
Precariato: prospettive unitarie dei lavoratori dei call center
amismp, 13/09/2006
I precari dei call center d'Italia, riuniti in assemblea nazionale, il 9 settembre provano a costruire un percorso unitario per far fronte alle drammatiche condizioni della flessibilità del lavoro. Il caso Atesia in primo piano dopo i risultati dell' ispettorato dell'ufficio provinciale del lavoro: da precari a subordinati?"
continua a leggere su amisnet
I precari dei call center d'Italia, riuniti in assemblea nazionale, il 9 settembre provano a costruire un percorso unitario per far fronte alle drammatiche condizioni della flessibilità del lavoro. Il caso Atesia in primo piano dopo i risultati dell' ispettorato dell'ufficio provinciale del lavoro: da precari a subordinati?"
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12.9.06
Lettera aperta dei lavoratori precari del Comune di Torino
Precariato all'interno dell'Amministrazione Pubblica - lettera aperta spedita al governo dai lavoratori
Siamo un gruppo di 30 lavoratori della Cooperative ARETHUSA, ARKE’, BIBLIOIDEA, COPAT vincitori delle gare d’appalto 132/2000 e 133/2000, appalti che avevano come requisito l’impiego di almeno il 40% di ex Lavoratori Socialmente Utili. Molti di noi sono quindi ex LSU che hanno partecipato a progetti formativi indetti dal Comune di Torino e finanziati dalla Regione Piemonte nel 1999, mentre altri hanno aderito alla chiamata pubblica nel 1996 con successiva proroga per fornire servizi di Utilità Collettiva; tutti questi progetti erano finalizzati per una stabilizzazione lavorativa.
Alcuni lavoratori che, per effetto delle disposizioni del Ministero del Lavoro, sono risultati esclusi dall’applicazione dell’art.12, si sono rivolti al Tribunale di Torino, Sezione Lavoro, per ottenere i benefici connessi con il regime transitorio: in data 20 marzo 2001 è stata emessa la sentenza che obbliga la Città di Torino di procedere all’inserimento dei ricorrenti tra gli L.S.U cui si applica il regime transitorio (all’art.12 del D.Lgs. 468/97).
Nel novembre del 2001 alcuni di noi hanno ricevuto una comunicazione dall’Assessore al Lavoro, nella quale si prospettava “una concreta possibilità di lavoro” presso i Musei Civici della Città di Torino. Questa opportunità lavorativa è stata il frutto di una convenzione firmata dai Sindacati Confederali, il cui contenuto è trattato negli Appalti Concorso 132 - 133/2000 per il “Potenziamento delle attività didattiche, divulgative, di inventariazione e catalogazione presso i Musei Civici della Città di Torino” e “Servizi di sorveglianza e manutenzione presso i Musei della Città” per il periodo 1/1/2000-31/10/2003, rinnovabile per ulteriori due anni.
Tra il 4 e il 14 aprile del 2002 è iniziato il nostro servizio presso la GAM, Palazzo Madama, Borgo Medioevale (successivamente Fondazione Torino Musei) Museo del Risorgimento e Direzione Musei, tramite le gare d’appalto sopraindicate vinte dai consorzi di cooperative ARETHUSA, ARKE’, COPAT - appalto 132/2000- e 133/2000 da BIBLIOIDEA.
A fine marzo 2005 la nascente Fondazione Torino Musei decide di stabilizzare parte del personale che operava presso le sue sedi ad eccezione di 4 persone (tutte ex LSU), di cui una attualmente in maternità, trasferite presso gli Uffici della Direzione Musei.
Quest’appalto, attraverso la determina dirigenziale N° 95 del 21/03/2005, è stato rinnovato per sei mesi (sino a settembre del 2005), poiché “le disponibilità di bilancio non consentono di provvedere al rinnovo per l’intero periodo previsto di due anni”.
Siamo in gran parte lavoratori “LSU a regime transitorio” da circa nove anni impiegati in vari Settori del Comune di Torino, e dal 2002 impiegati presso la Direzione Musei, amministrativamente dipendenti dalle cooperative ARETHUSA, ARKE’, BIBLIOIDEA, COPAT.
Ad oggi, dopo l’ennesima proroga di sei mesi di contratto, (fino a dicembre 2006) siamo spaventati e sfiduciati, anche dal lato strettamente operativo perché ci troviamo a dipendere contrattualmente dalle cooperative e funzionalmente ad essere sottoposti alle direttive dell’Ente, facendo si che venga meno la possibilità di discernere al vincolo di fedeltà (vedi Codice deontologico del dipendente comunale) mettendoci in una condizione di ulteriore disagio per mancanza di riferimenti chiari; a questo si aggiunge l’incertezza di mese in mese, della prosecuzione del lavoro venendo a sapere, magari a posteriori, che l'incarico alle ditte è stato rinnovato solo per il mese successivo.
Sosteniamo tale situazione da oltre 5 anni presso al Pubblica Amministrazione del Comune di Torino e, nonostante la nostra faticosa e paziente disponibilità a mediare politicamente e sindacalmente, ci ritroviamo a dover fare i conti con una prospettiva lavorativa sempre più incerta e dequalificante.
In data 24 marzo 2006 abbiamo richiesto un incontro con l’Assessore alle Politiche del Lavoro della Città di Torino in presenza delle rappresentanze sindacali Cigl, Cisl, Uil e Csa. Nonostante l’approvazione della mozione (num. mecc. 2005 12191/002), avente per oggetto “Stabilizzazione dei lavoratori ex LSU in possesso del requisito di transitorietà (art.12) all’interno della Fondazione Torino Musei”, promossa dai gruppi consiliari di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani e discussa in data 20 febbraio 2006, presso il Consiglio Comunale della Città di Torino, le prospettive lavorative che l’Assessore ci ha prospettato sono di un altro appalto di durata quinquennale, con applicazione del CCNL Multiservizi.
Nonostante l’esperienza lavorativa pluriennale nel settore, con relativo e conseguente consolidamento di un livello di professionalità tale da risultare utile alla stessa Amministrazione, purtroppo riscontriamo ancora uno scarso riconoscimento (professionale e contrattuale, retributivo e normativo) sia dalle rispettive ditte e/o cooperative appaltatrici e dalla stessa Amministrazione Comunale. Vogliamo segnalare anche che le mansioni da noi svolte rientrano nel mansionario di un dipendente comunale.
Considerato che il percorso fino ad oggi seguito ha fatto sì che i lavoratori identificassero la propria attività non come un trascorso di provvisorietà, ma come una carriera lavorativa consolidata e che l’impegno speso in questi anni, dovuto alle forti motivazioni dei lavoratori per la propria attività, ha impedito agli stessi di impegnarsi nella ricerca di un’esperienza professionale alternativa, non ci riteniamo soddisfatti e chiediamo un impegno preciso e concordato della Città di Torino per la risoluzione del rapporto lavorativo con le diverse cooperative e una successiva, reale, stabilizzazione all’interno dell’organico comunale anche alla luce del fatto che le cooperative attualmente titolari dei contratti di appalto non offrono un futuro occupazionale stabile e prospettive di una carriera lavorativa dignitosa, ma mostrano un atteggiamento di sostanziale sfruttamento e disinteresse verso i propri dipendenti, potendo garantire solo un futuro di precarietà.
Siamo a conoscenza che per la Città di Torino il costo di ognuno di noi è di 2.760 euro (Iva compresa) e che noi percepiamo uno stipendio che si aggira intorno alle 750/900 euro mensili, per 35 ore settimanali. Per la pubblica amministrazione le 35 ore settimanali corrispondono ad un full time, diversamente per un privato questo è equiparato ad un part-time; alcuni di noi non hanno la mutua retribuita e purtroppo si verificano spesso ritardi nei versamenti degli stipendi (addirittura di 3/4 mesi). Si evince che questo sistema non fa che ledere economicamente sia la Città di Torino, sia il lavoratore di cooperativa e che l’assunzione in organico comunale gioverebbe anche economicamente all’Amministrazione.
Invitiamo le rappresentanze politiche e sindacali a prendere seriamente in considerazione questo problema, attraverso la costituzione di un tavolo negoziale che promuova concretamente e realmente la stabilità lavorativa di tutti noi.
Torino 12/09/2006
Siamo un gruppo di 30 lavoratori della Cooperative ARETHUSA, ARKE’, BIBLIOIDEA, COPAT vincitori delle gare d’appalto 132/2000 e 133/2000, appalti che avevano come requisito l’impiego di almeno il 40% di ex Lavoratori Socialmente Utili. Molti di noi sono quindi ex LSU che hanno partecipato a progetti formativi indetti dal Comune di Torino e finanziati dalla Regione Piemonte nel 1999, mentre altri hanno aderito alla chiamata pubblica nel 1996 con successiva proroga per fornire servizi di Utilità Collettiva; tutti questi progetti erano finalizzati per una stabilizzazione lavorativa.
Alcuni lavoratori che, per effetto delle disposizioni del Ministero del Lavoro, sono risultati esclusi dall’applicazione dell’art.12, si sono rivolti al Tribunale di Torino, Sezione Lavoro, per ottenere i benefici connessi con il regime transitorio: in data 20 marzo 2001 è stata emessa la sentenza che obbliga la Città di Torino di procedere all’inserimento dei ricorrenti tra gli L.S.U cui si applica il regime transitorio (all’art.12 del D.Lgs. 468/97).
Nel novembre del 2001 alcuni di noi hanno ricevuto una comunicazione dall’Assessore al Lavoro, nella quale si prospettava “una concreta possibilità di lavoro” presso i Musei Civici della Città di Torino. Questa opportunità lavorativa è stata il frutto di una convenzione firmata dai Sindacati Confederali, il cui contenuto è trattato negli Appalti Concorso 132 - 133/2000 per il “Potenziamento delle attività didattiche, divulgative, di inventariazione e catalogazione presso i Musei Civici della Città di Torino” e “Servizi di sorveglianza e manutenzione presso i Musei della Città” per il periodo 1/1/2000-31/10/2003, rinnovabile per ulteriori due anni.
Tra il 4 e il 14 aprile del 2002 è iniziato il nostro servizio presso la GAM, Palazzo Madama, Borgo Medioevale (successivamente Fondazione Torino Musei) Museo del Risorgimento e Direzione Musei, tramite le gare d’appalto sopraindicate vinte dai consorzi di cooperative ARETHUSA, ARKE’, COPAT - appalto 132/2000- e 133/2000 da BIBLIOIDEA.
A fine marzo 2005 la nascente Fondazione Torino Musei decide di stabilizzare parte del personale che operava presso le sue sedi ad eccezione di 4 persone (tutte ex LSU), di cui una attualmente in maternità, trasferite presso gli Uffici della Direzione Musei.
Quest’appalto, attraverso la determina dirigenziale N° 95 del 21/03/2005, è stato rinnovato per sei mesi (sino a settembre del 2005), poiché “le disponibilità di bilancio non consentono di provvedere al rinnovo per l’intero periodo previsto di due anni”.
Siamo in gran parte lavoratori “LSU a regime transitorio” da circa nove anni impiegati in vari Settori del Comune di Torino, e dal 2002 impiegati presso la Direzione Musei, amministrativamente dipendenti dalle cooperative ARETHUSA, ARKE’, BIBLIOIDEA, COPAT.
Ad oggi, dopo l’ennesima proroga di sei mesi di contratto, (fino a dicembre 2006) siamo spaventati e sfiduciati, anche dal lato strettamente operativo perché ci troviamo a dipendere contrattualmente dalle cooperative e funzionalmente ad essere sottoposti alle direttive dell’Ente, facendo si che venga meno la possibilità di discernere al vincolo di fedeltà (vedi Codice deontologico del dipendente comunale) mettendoci in una condizione di ulteriore disagio per mancanza di riferimenti chiari; a questo si aggiunge l’incertezza di mese in mese, della prosecuzione del lavoro venendo a sapere, magari a posteriori, che l'incarico alle ditte è stato rinnovato solo per il mese successivo.
Sosteniamo tale situazione da oltre 5 anni presso al Pubblica Amministrazione del Comune di Torino e, nonostante la nostra faticosa e paziente disponibilità a mediare politicamente e sindacalmente, ci ritroviamo a dover fare i conti con una prospettiva lavorativa sempre più incerta e dequalificante.
In data 24 marzo 2006 abbiamo richiesto un incontro con l’Assessore alle Politiche del Lavoro della Città di Torino in presenza delle rappresentanze sindacali Cigl, Cisl, Uil e Csa. Nonostante l’approvazione della mozione (num. mecc. 2005 12191/002), avente per oggetto “Stabilizzazione dei lavoratori ex LSU in possesso del requisito di transitorietà (art.12) all’interno della Fondazione Torino Musei”, promossa dai gruppi consiliari di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani e discussa in data 20 febbraio 2006, presso il Consiglio Comunale della Città di Torino, le prospettive lavorative che l’Assessore ci ha prospettato sono di un altro appalto di durata quinquennale, con applicazione del CCNL Multiservizi.
Nonostante l’esperienza lavorativa pluriennale nel settore, con relativo e conseguente consolidamento di un livello di professionalità tale da risultare utile alla stessa Amministrazione, purtroppo riscontriamo ancora uno scarso riconoscimento (professionale e contrattuale, retributivo e normativo) sia dalle rispettive ditte e/o cooperative appaltatrici e dalla stessa Amministrazione Comunale. Vogliamo segnalare anche che le mansioni da noi svolte rientrano nel mansionario di un dipendente comunale.
Considerato che il percorso fino ad oggi seguito ha fatto sì che i lavoratori identificassero la propria attività non come un trascorso di provvisorietà, ma come una carriera lavorativa consolidata e che l’impegno speso in questi anni, dovuto alle forti motivazioni dei lavoratori per la propria attività, ha impedito agli stessi di impegnarsi nella ricerca di un’esperienza professionale alternativa, non ci riteniamo soddisfatti e chiediamo un impegno preciso e concordato della Città di Torino per la risoluzione del rapporto lavorativo con le diverse cooperative e una successiva, reale, stabilizzazione all’interno dell’organico comunale anche alla luce del fatto che le cooperative attualmente titolari dei contratti di appalto non offrono un futuro occupazionale stabile e prospettive di una carriera lavorativa dignitosa, ma mostrano un atteggiamento di sostanziale sfruttamento e disinteresse verso i propri dipendenti, potendo garantire solo un futuro di precarietà.
Siamo a conoscenza che per la Città di Torino il costo di ognuno di noi è di 2.760 euro (Iva compresa) e che noi percepiamo uno stipendio che si aggira intorno alle 750/900 euro mensili, per 35 ore settimanali. Per la pubblica amministrazione le 35 ore settimanali corrispondono ad un full time, diversamente per un privato questo è equiparato ad un part-time; alcuni di noi non hanno la mutua retribuita e purtroppo si verificano spesso ritardi nei versamenti degli stipendi (addirittura di 3/4 mesi). Si evince che questo sistema non fa che ledere economicamente sia la Città di Torino, sia il lavoratore di cooperativa e che l’assunzione in organico comunale gioverebbe anche economicamente all’Amministrazione.
Invitiamo le rappresentanze politiche e sindacali a prendere seriamente in considerazione questo problema, attraverso la costituzione di un tavolo negoziale che promuova concretamente e realmente la stabilità lavorativa di tutti noi.
Torino 12/09/2006
Forum antiprecarietà Firenze 30/9 e corteo precari 6/10
Il coordinamento Firenzeprecaria, costituitosi raccogliendo diverse esperienze precarie locali, dai ricercatori alle cooperative sociali, all'impiego pubblico all'industria, e che ha dato vita al primo mayday fiorentino, invia il comunicato relativo all'assemblea fiorentina tenuta il 6 settembre, invitando precari e gruppi precari autorganizzati a partecipare al Forum antiprecarieta' di Firenze, il 30 settembre e 1 ottobre 2006.
Cambia il governo, ma le ricette sono sempre le stesse:tagli e precarietà!
La politica economica del governo Prodi chiarisce ogni giorno di più la portata della sconfitta cui i dirigenti della sinistra parlamentare hanno condotto la propria base sociale. Il governo si prepara ad una finanziaria di tagli sociali, mentre conferma e allarga quelle spese odiose (grandi opere, missioni militari) che fino a ieri i partiti della sinistra contestavano, e regala alle imprese 5 miliardi con la riduzione del cuneo fiscale. Ma il buon giorno si vedeva già dal mattino: l'assegnazione, senza sostanziali obiezioni da sinistra, del lavoro ad un ministro filo-confidustriale e dell'economia ad un ministro-banchiere era più che sufficiente a dare ai lavoratori un quadro definitivo sulla natura del governo in carica. Questo governo non può essere il loro governo, né fare i loro interessi, perché la sua ragione sociale è sottometterli alla dura disciplina del neoliberismo e del rigore finanziario.
Ai precari della pubblica amministrazione il governo Prodi porta in regalo la riduzione dei dipendenti pubblici, e della scuola in particolare. Dunque, non solo non vogliono riassorbire i precari attuali, ma si va verso un utilizzo maggiore di precari e di lavoratori esternalizzati per garantire i servizi, non più pubblici ma privati . Si tratta senza dubbio di un bel passo avanti nell’operazione di smantellamento del sistema pubblico e della garanzia di un lavoro stabile e equamente retribuito che sta tanto a cuore ai neoliberisti di ogni colore! A tutti i precari porta in regalo il cosiddetto “superamento” della Legge Biagi: ovvero un’operazione cosmetica, su cui, tra l’altro, il ministro Damiano se la sta prendendo particolarmente comoda, tanto per fare capire agli interessati che ci sono problemi molto più importanti da affrontare.
Di fronte a questo governo il primo compito dei precari è mantenere la propria autonomia dalla politica parlamentare, mediatica, concertativa, come hanno saputo fare nei percorsi di lotta costruiti negli anni, a partire dalla MayDay. Occorre ripartire dai problemi concreti e vivi, organizzare e mobilitare i soggetti che ne sono portatori, creare delle piattaforme radicali e capaci di unire, portare all'attenzione di tutti la determinazione con cui queste piattaforme sono sostenute attraverso la lotta. Le richieste dei precari sono infatti molto semplici: lavoro stabile e reddito dignitoso. Non richiedono formule complicate o grande varietà d’ingegno, ma molta decisione e coerenza per portarle a compimento. Anche il tabù delle risorse pubbliche deve essere discusso perché una diversa struttura della spesa, un diverso modello di sviluppo sono possibili: il punto di partenza deve essere che il lavoro non può essere ridotto a merce. Occorre che tutte le organizzazioni e le realtà impegnate siano all'altezza di questo compito, senza più rinvii, indecisioni, ambiguità e dispute.
Per dare subito seguito a quest’impegno il coordinamento fiorentino ha deciso, nell’assemblea di ieri (7/9/06):
- di aderire allo sciopero e al corteo nazionali indetti il 6 ottobre dalla Cub-RdB per l’assunzione di tutti i precari della Pubblica Amministrazione, attraverso concorsi che tengano conto del servizio reso. Invitiamo perciò tutti i precari fiorentini a mobilitarsi da subito per questa data, in cui, per la prima volta, i precari della PA sono riconosciuti come lavoratori al pari degli altri, con il sacrosanto diritto di scioperare. Al tempo stesso, il coordinamento esprime il massimo delle riserve sulla mobilitazione proposta dal “Tavolo stop precarietà” per la fine di ottobre, a causa del ruolo preminente, al suo interno, di settori della maggioranza di governo e del sindacalismo confederale, fatto che non garantisce a quel percorso la necessaria chiarezza d’intenti rispetto a quello che resta per noi l’unico obiettivo: abolire la precarietà!
- di promuovere per il 30 settembre e il 1 ottobre a Firenze, un Forum d'azione contro la precarietà, come momento di confronto fra realtà precarie, diverse per settori, territorio, genere e generazione, per discutere nel vivo di riforme del mercato del lavoro e del welfare e di come ottenerle. Invitiamo quindi tutti i precari e i gruppi dei precari autorganizzati, di tutti i settori, a prendere parte alle due giornate fiorentine , la prima incentrata sulla discussione delle proposte attuali, la seconda dedicata ad una Assemblea generale sulle prospettive di mobilitazione .
BASTA CON GLI SPACCIATORI DI FALSE SPERANZE!! RIPRENDIAMO L'INIZIATIVA! UNIONE DEI PRECARI CONTRO LE POLITICHE DEL GOVERNO PRODI!! SCIOPERO DI TUTTI I PRECARI IL 6 OTTOBRE!!
Firenze, 7 settembre 2006
Firenzeprecaria
(Coordinamento fiorentino precari)
firenzeprecaria@inventati.org
Cambia il governo, ma le ricette sono sempre le stesse:tagli e precarietà!
La politica economica del governo Prodi chiarisce ogni giorno di più la portata della sconfitta cui i dirigenti della sinistra parlamentare hanno condotto la propria base sociale. Il governo si prepara ad una finanziaria di tagli sociali, mentre conferma e allarga quelle spese odiose (grandi opere, missioni militari) che fino a ieri i partiti della sinistra contestavano, e regala alle imprese 5 miliardi con la riduzione del cuneo fiscale. Ma il buon giorno si vedeva già dal mattino: l'assegnazione, senza sostanziali obiezioni da sinistra, del lavoro ad un ministro filo-confidustriale e dell'economia ad un ministro-banchiere era più che sufficiente a dare ai lavoratori un quadro definitivo sulla natura del governo in carica. Questo governo non può essere il loro governo, né fare i loro interessi, perché la sua ragione sociale è sottometterli alla dura disciplina del neoliberismo e del rigore finanziario.
Ai precari della pubblica amministrazione il governo Prodi porta in regalo la riduzione dei dipendenti pubblici, e della scuola in particolare. Dunque, non solo non vogliono riassorbire i precari attuali, ma si va verso un utilizzo maggiore di precari e di lavoratori esternalizzati per garantire i servizi, non più pubblici ma privati . Si tratta senza dubbio di un bel passo avanti nell’operazione di smantellamento del sistema pubblico e della garanzia di un lavoro stabile e equamente retribuito che sta tanto a cuore ai neoliberisti di ogni colore! A tutti i precari porta in regalo il cosiddetto “superamento” della Legge Biagi: ovvero un’operazione cosmetica, su cui, tra l’altro, il ministro Damiano se la sta prendendo particolarmente comoda, tanto per fare capire agli interessati che ci sono problemi molto più importanti da affrontare.
Di fronte a questo governo il primo compito dei precari è mantenere la propria autonomia dalla politica parlamentare, mediatica, concertativa, come hanno saputo fare nei percorsi di lotta costruiti negli anni, a partire dalla MayDay. Occorre ripartire dai problemi concreti e vivi, organizzare e mobilitare i soggetti che ne sono portatori, creare delle piattaforme radicali e capaci di unire, portare all'attenzione di tutti la determinazione con cui queste piattaforme sono sostenute attraverso la lotta. Le richieste dei precari sono infatti molto semplici: lavoro stabile e reddito dignitoso. Non richiedono formule complicate o grande varietà d’ingegno, ma molta decisione e coerenza per portarle a compimento. Anche il tabù delle risorse pubbliche deve essere discusso perché una diversa struttura della spesa, un diverso modello di sviluppo sono possibili: il punto di partenza deve essere che il lavoro non può essere ridotto a merce. Occorre che tutte le organizzazioni e le realtà impegnate siano all'altezza di questo compito, senza più rinvii, indecisioni, ambiguità e dispute.
Per dare subito seguito a quest’impegno il coordinamento fiorentino ha deciso, nell’assemblea di ieri (7/9/06):
- di aderire allo sciopero e al corteo nazionali indetti il 6 ottobre dalla Cub-RdB per l’assunzione di tutti i precari della Pubblica Amministrazione, attraverso concorsi che tengano conto del servizio reso. Invitiamo perciò tutti i precari fiorentini a mobilitarsi da subito per questa data, in cui, per la prima volta, i precari della PA sono riconosciuti come lavoratori al pari degli altri, con il sacrosanto diritto di scioperare. Al tempo stesso, il coordinamento esprime il massimo delle riserve sulla mobilitazione proposta dal “Tavolo stop precarietà” per la fine di ottobre, a causa del ruolo preminente, al suo interno, di settori della maggioranza di governo e del sindacalismo confederale, fatto che non garantisce a quel percorso la necessaria chiarezza d’intenti rispetto a quello che resta per noi l’unico obiettivo: abolire la precarietà!
- di promuovere per il 30 settembre e il 1 ottobre a Firenze, un Forum d'azione contro la precarietà, come momento di confronto fra realtà precarie, diverse per settori, territorio, genere e generazione, per discutere nel vivo di riforme del mercato del lavoro e del welfare e di come ottenerle. Invitiamo quindi tutti i precari e i gruppi dei precari autorganizzati, di tutti i settori, a prendere parte alle due giornate fiorentine , la prima incentrata sulla discussione delle proposte attuali, la seconda dedicata ad una Assemblea generale sulle prospettive di mobilitazione .
BASTA CON GLI SPACCIATORI DI FALSE SPERANZE!! RIPRENDIAMO L'INIZIATIVA! UNIONE DEI PRECARI CONTRO LE POLITICHE DEL GOVERNO PRODI!! SCIOPERO DI TUTTI I PRECARI IL 6 OTTOBRE!!
Firenze, 7 settembre 2006
Firenzeprecaria
(Coordinamento fiorentino precari)
firenzeprecaria@inventati.org
4/11 Roma: manifestazione nazionale Stop Precarietà Ora
Il movimento torna in piazza: Stop Precarietà Ora, manifestazione il 4 novembre
C’è un grande assente nel dibattito politico: il movimento, e in particolare il movimento dei lavoratori. Il governo che pone al centro dell’agenda la questione dei tagli e del risanamento, infatti, sembra aver dimenticato la grande “questione sociale” del precariato che pure aveva investito con forza la campagna elettorale. Il 4 novembre sarà l’attesa data del ritorno di quel movimento, a circa un’anno dalla grande manifestazione dei metalmeccanici per il rinnovo dei contratti. Lo ha comunicato ieri l’ufficio stampa di Stop Precarietà Ora, un vasto universo di sigle sindacali, di associazioni e partiti (Arci, Fiom, Prc, Cobas etc...) che lo scorso 8 luglio avevano dato vita alla partecipatissima assemblea del Teatro Brancaccio di Roma, con l’obiettivo di costruire una grande manifestazione nazionale. Con una piattaforma senza tentennamenti: abrograzione delle tre leggi simbolo della precarietà varate dal governo Berlusconi: la Bossi-Fini sui migranti, la Legge 30 sul lavoro, la legge Moratti sulla scuola. Una data non troppo vicina, che permetterà ai promotori di organizzare una partecipazione «che sia in grado di reggere il confronto coi grandi numeri delle manifestazioni contro il governo Berlusconi», come afferma il segretario confederale della Fiom Giorgio Cremaschi, tra i più attivi promotori dell’iniziativa. «La precarietà è il buco nero dell’agenda politica. Noi vogliamo ribaltare la discussione, oggi ferma alla proposte di rigore che sembrano provenire dagli anni ’80», continua il sindacalista. «Già l’8 luglio avevamo criticato duramente l’impostazione del Dpef. Se la Finanziaria continuerà a basarsi sui tagli allora la nostra manifestazione sarà rivolta direttamente contro quel provvedimento», aggiunge Cremaschi. «Il corteo sarà un punto d’arrivo una sintesi di tutte le inizitive di lotta di questo autunno», conclude il sindacalista, che annuncia anche la partecipazione della Rete 28 Aprile alla manifestazione nazionale dei call center prevista il 29 settembre.
Intanto ieri un nutrito gruppo di lavoratori, dietro uno striscione con scritto «Lavoro, Salario, Diritti e Reddito per tutti», ha contestato a Pisa il ministro del lavoro Cesare Damiano impegnato nella festa dell’Unità in un dibattito insieme al segretario della Cgil Guglielmo Epifani. «Una protesta pacifica», afferma Federico Giusti dei Cobas pisani, «con la quale vogliamo chiede al ministro del Lavoro se il suo governo ha intenzione di procedere sulla strada dei tagli tracciata dalla Bce o vuole impegnarsi in scelte concrete per sconfiggere la precarietà, abrogando la legge 30». A Pisa, intorno ai combattivi sindacalisti dei Cobas, è nato il comitato locale Stop Precarietà, che ha in calendario numerose iniziative di lotta. La manifestazione del 4 novembre, dunque, diventerà il punto d’arrivo di un percorso che affronterà, dagli altri, il problema dei precari nella Pubblica Amministrazione, in particolare quelli della provincia di Pisa, «dove ci sono almeno 100 precari su un totale di 600 lavoratori».
Sul tema del pubblico impiego- dove lavorano 350mila atipici, il 10% dell’intero segmento del mercato del lavoro- ieri è intervenuto anche il ministro della Funzione Pubblica Luigi Nicolais, che ha partecipato al forum su innovazione e sviluppo dal titolo “Mezzogiorno: futuro dell'Europa e del Mediterraneo”. «Abbiamo già avviato una discussione molto seria con il sindacato e ci prepariamo a realizzare un programma di eliminazione del precariato», ha annunciato il ministro. Nicolais ha inoltre confermato che è allo studio del ministero l' ipotesi di sviluppare forme di part-time per gli statali vicini alla pensione per consentirne una uscita morbida dal mondo del lavoro. Il ministro ha anche parlato dell’inserimento nella finanziaria di investimenti nella ricerca e per lo sviluppo del Mezzogiorno.
Man. Bon.
DA LIBERAZIONE
del 10/09/2006
C’è un grande assente nel dibattito politico: il movimento, e in particolare il movimento dei lavoratori. Il governo che pone al centro dell’agenda la questione dei tagli e del risanamento, infatti, sembra aver dimenticato la grande “questione sociale” del precariato che pure aveva investito con forza la campagna elettorale. Il 4 novembre sarà l’attesa data del ritorno di quel movimento, a circa un’anno dalla grande manifestazione dei metalmeccanici per il rinnovo dei contratti. Lo ha comunicato ieri l’ufficio stampa di Stop Precarietà Ora, un vasto universo di sigle sindacali, di associazioni e partiti (Arci, Fiom, Prc, Cobas etc...) che lo scorso 8 luglio avevano dato vita alla partecipatissima assemblea del Teatro Brancaccio di Roma, con l’obiettivo di costruire una grande manifestazione nazionale. Con una piattaforma senza tentennamenti: abrograzione delle tre leggi simbolo della precarietà varate dal governo Berlusconi: la Bossi-Fini sui migranti, la Legge 30 sul lavoro, la legge Moratti sulla scuola. Una data non troppo vicina, che permetterà ai promotori di organizzare una partecipazione «che sia in grado di reggere il confronto coi grandi numeri delle manifestazioni contro il governo Berlusconi», come afferma il segretario confederale della Fiom Giorgio Cremaschi, tra i più attivi promotori dell’iniziativa. «La precarietà è il buco nero dell’agenda politica. Noi vogliamo ribaltare la discussione, oggi ferma alla proposte di rigore che sembrano provenire dagli anni ’80», continua il sindacalista. «Già l’8 luglio avevamo criticato duramente l’impostazione del Dpef. Se la Finanziaria continuerà a basarsi sui tagli allora la nostra manifestazione sarà rivolta direttamente contro quel provvedimento», aggiunge Cremaschi. «Il corteo sarà un punto d’arrivo una sintesi di tutte le inizitive di lotta di questo autunno», conclude il sindacalista, che annuncia anche la partecipazione della Rete 28 Aprile alla manifestazione nazionale dei call center prevista il 29 settembre.
Intanto ieri un nutrito gruppo di lavoratori, dietro uno striscione con scritto «Lavoro, Salario, Diritti e Reddito per tutti», ha contestato a Pisa il ministro del lavoro Cesare Damiano impegnato nella festa dell’Unità in un dibattito insieme al segretario della Cgil Guglielmo Epifani. «Una protesta pacifica», afferma Federico Giusti dei Cobas pisani, «con la quale vogliamo chiede al ministro del Lavoro se il suo governo ha intenzione di procedere sulla strada dei tagli tracciata dalla Bce o vuole impegnarsi in scelte concrete per sconfiggere la precarietà, abrogando la legge 30». A Pisa, intorno ai combattivi sindacalisti dei Cobas, è nato il comitato locale Stop Precarietà, che ha in calendario numerose iniziative di lotta. La manifestazione del 4 novembre, dunque, diventerà il punto d’arrivo di un percorso che affronterà, dagli altri, il problema dei precari nella Pubblica Amministrazione, in particolare quelli della provincia di Pisa, «dove ci sono almeno 100 precari su un totale di 600 lavoratori».
Sul tema del pubblico impiego- dove lavorano 350mila atipici, il 10% dell’intero segmento del mercato del lavoro- ieri è intervenuto anche il ministro della Funzione Pubblica Luigi Nicolais, che ha partecipato al forum su innovazione e sviluppo dal titolo “Mezzogiorno: futuro dell'Europa e del Mediterraneo”. «Abbiamo già avviato una discussione molto seria con il sindacato e ci prepariamo a realizzare un programma di eliminazione del precariato», ha annunciato il ministro. Nicolais ha inoltre confermato che è allo studio del ministero l' ipotesi di sviluppare forme di part-time per gli statali vicini alla pensione per consentirne una uscita morbida dal mondo del lavoro. Il ministro ha anche parlato dell’inserimento nella finanziaria di investimenti nella ricerca e per lo sviluppo del Mezzogiorno.
Man. Bon.
DA LIBERAZIONE
del 10/09/2006
7/9 Protesta cassa integrati Ducati (video)
Bologna 7 settembre 2006
Piazza Maggiore
100 dipendenti della Ducati, di cui 62 operai e 38 impiegati, finiscono in cassa integrazione con uno stipendio dimezzato. Tra i cassa integrati ci sono delegati sindacali, invalidi civili e donne al rientro dalla maternità. Un piano di ristrutturazione che mira ad eliminare le fasce lavorative meno produttive! Da giorni i lavoratori in cassa integrazione presidiano i cancelli della Ducati perché si possa riavviare un tavolo di trattative.
Scarica il video sulla protesta dei cassa integrati della Ducati da NGVision
http://www.ngvision.org/mediabase/621
www.ecn.org/xm24/article/10/teleimmagini
Piazza Maggiore
100 dipendenti della Ducati, di cui 62 operai e 38 impiegati, finiscono in cassa integrazione con uno stipendio dimezzato. Tra i cassa integrati ci sono delegati sindacali, invalidi civili e donne al rientro dalla maternità. Un piano di ristrutturazione che mira ad eliminare le fasce lavorative meno produttive! Da giorni i lavoratori in cassa integrazione presidiano i cancelli della Ducati perché si possa riavviare un tavolo di trattative.
Scarica il video sulla protesta dei cassa integrati della Ducati da NGVision
http://www.ngvision.org/mediabase/621
www.ecn.org/xm24/article/10/teleimmagini
10.9.06
9/9 Pisa: precari interrompono il ministro Damiano
09 set 22:59 Pisa: precari interrompono ministro Damiano
PISA - Fuori programma nella libreria della festa tematica dell'Unita', in corso a Pisa. Un gruppo di precari ha interrotto il faccia a faccia tra il ministro Damiano e il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, issando striscioni con la scritta 'No ai tagli sociali'. Non e' stato registrato alcun incidente e dopo pochi minuti il dibattito e' ripreso regolarmente. (Agr)
PISA - Fuori programma nella libreria della festa tematica dell'Unita', in corso a Pisa. Un gruppo di precari ha interrotto il faccia a faccia tra il ministro Damiano e il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, issando striscioni con la scritta 'No ai tagli sociali'. Non e' stato registrato alcun incidente e dopo pochi minuti il dibattito e' ripreso regolarmente. (Agr)
7.9.06
Milano 16-17/9 Uninomade - Reddito di cittadinanza
INVITO ALLA RIUNIONE DI UNINOMADE SUL REDDITO DI CITTADINANZA
SABATO 16 E DOMENICA 17 SETTEMBRE A MILANO [TEATRO ELFO]
Il centro-sinistra, a partire dalla recente campagna elettorale, ha finalmente scoperto la precarietà. Per noi la precarietà è sempre stata centrale, dunque siamo d'accordo: è centrale che il tema assuma, finalmente, un ruolo cardine nel dibattito e nell'agenda politica attuale. La precarietà è condizione esistenziale e generalizzata, è il cuore vivente su cui poggia il paradigma di produzione contemporaneo. Punta a trasformare, plagiare, reificare le soggettività al lavoro nel capitalismo cognitivo presente. La precarietà è condizione eterogenea e molteplice: è donna, è migrante, è materiale e immateriale, interessa tutte le fasce di età - anche se in misura maggiore quella giovanile - è industriale e terziaria, è interna ed esterna allo stesso tempo. La precarietà si basa sull'individualizzazione del rapporto di lavoro, sul progressivo ma inesorabile smantellamento dei diritti del lavoro così come dei servizi, su miopi politiche concertative sindacali, sulle difficoltà/incapacità di rappresentarla, sulla perdita di valore della contrattazione collettiva, sul diffondersi dei miti della flessibilità e dell'individualismo nei comportamenti privati, sul cedere delle pratiche conflittuali.
Essa viene percepita con modalità differenti a seconda del conteso lavorativo e del tipo di prestazione svolta. Non c'è, dunque, un'unica risposta possibile alla precarietà. Proprio perché riguarda la vita intera degli individui, perché eccede la sola condizione lavorativa e di reddito, non è pensabile un intervento esclusivamente limitato alle politiche del lavoro. Essa deve essere affrontata nella sua ingombrante complessità, sia sul versante dei diritti del lavoro che su quello della rivendicazione di un nuovo welfare, che vuole dire "immaginare un nuovo piano simbolico". La lotta contro la precarietà è infatti, soprattutto, lotta contro le condizioni di ricattabilità che essa comporta, ma è anche lotta contro il crescente condizionamento simbolico del vivente. Bisogna puntare al miglioramento delle condizioni salariali e contrattuali vigenti ma anche a garantire un reddito, a prescindere dalla prestazione lavorativa.
SABATO 16 E DOMENICA 17 SETTEMBRE A MILANO [TEATRO ELFO]
Il centro-sinistra, a partire dalla recente campagna elettorale, ha finalmente scoperto la precarietà. Per noi la precarietà è sempre stata centrale, dunque siamo d'accordo: è centrale che il tema assuma, finalmente, un ruolo cardine nel dibattito e nell'agenda politica attuale. La precarietà è condizione esistenziale e generalizzata, è il cuore vivente su cui poggia il paradigma di produzione contemporaneo. Punta a trasformare, plagiare, reificare le soggettività al lavoro nel capitalismo cognitivo presente. La precarietà è condizione eterogenea e molteplice: è donna, è migrante, è materiale e immateriale, interessa tutte le fasce di età - anche se in misura maggiore quella giovanile - è industriale e terziaria, è interna ed esterna allo stesso tempo. La precarietà si basa sull'individualizzazione del rapporto di lavoro, sul progressivo ma inesorabile smantellamento dei diritti del lavoro così come dei servizi, su miopi politiche concertative sindacali, sulle difficoltà/incapacità di rappresentarla, sulla perdita di valore della contrattazione collettiva, sul diffondersi dei miti della flessibilità e dell'individualismo nei comportamenti privati, sul cedere delle pratiche conflittuali.
Essa viene percepita con modalità differenti a seconda del conteso lavorativo e del tipo di prestazione svolta. Non c'è, dunque, un'unica risposta possibile alla precarietà. Proprio perché riguarda la vita intera degli individui, perché eccede la sola condizione lavorativa e di reddito, non è pensabile un intervento esclusivamente limitato alle politiche del lavoro. Essa deve essere affrontata nella sua ingombrante complessità, sia sul versante dei diritti del lavoro che su quello della rivendicazione di un nuovo welfare, che vuole dire "immaginare un nuovo piano simbolico". La lotta contro la precarietà è infatti, soprattutto, lotta contro le condizioni di ricattabilità che essa comporta, ma è anche lotta contro il crescente condizionamento simbolico del vivente. Bisogna puntare al miglioramento delle condizioni salariali e contrattuali vigenti ma anche a garantire un reddito, a prescindere dalla prestazione lavorativa.
6.9.06
Ascanio Celestini, Atesia peggio delle fabbriche negli anni '40 e '50
Nel nome di San Precario
di Michela Bevere
06/09/2006
"I lavoratori precari del call-center Atesia si trovano in condizioni decisamente peggiori rispetto agli operai delle fabbiche negli anni '40 e '50". E' il commento di Ascanio Celestini sulla vicenda del call-center più grande d'Europa, che durante l'estate è stato sulle prime pagine di tutti i più importanti giornali, dopo la relazione dell'Ispettorato del lavoro, secondo cui i dipendenti Atesia svolgono a tutti gli effetti lavoro subordinato. Non è un fatto insolito che l'autore teatrale intervenga su questi temi, perché è da tempo che si occupa di lavoro precario. E in particolare Celestini sta preparando uno spettacolo che sarà presentato durante la Notte Bianca a Roma, a cui parteciperanno gli stessi lavoratori del call-center. Lo spettacolo sarà anche l'occasione per annunciare la mobilitazione indetta dal Collettivo Precari Atesia del 29 settembre per rivendicare l'abolizione della legge 30 e del pacchetto Treu e per mettere al centro della trattativa la stipulazione di contratti a tempo indeterminato.
R@: Che impressione si è fatto della vicenda Atesia?
AC: Quello che è accaduto nei giorni scorsi sulla vicenda Atesia è soltanto l'inizio di una battaglia. Il problema ora è capire come sarà interpretata la relazione dell'Ispettorato del lavoro. Il rischio è che i lavoratori siano assunti, con contratti di apprendistato e di inserimento. Il risultato dell'accertamento degli ispettori, poi, in realtà ha detto una cosa che avrebbe potuto dire mia nonna: se una persona lavora per sei mesi in uno stesso luogo non si può dire che sia 'a progetto', ma si tratta di un vero e proprio lavoro subordinato. Purtroppo però in Italia manca una cultura del lavoro.
R@: In che senso?
AC: E' paradossale che il presidente Alberto Tripi minacci di chiudere l'azienda e di andare all'estero, nel momento in cui l'Ispettorato del lavoro gli fa notare di non aver rispettato la legge finora. E' come se annunciasse pubblicamente di non volerla rispettare. Purtroppo, poi, non è emerso chiaramente che l'esposto agli ispettori del lavoro fu presentato più di un anno fa da cinque ragazzi del Collettivo Precari Atesia. E due di questi sono stati licenziati, mentre altri due non si sono visti rinnovare il contratto.
R@: Dalla sua esperienza, come le sembrano le condizioni di lavoro in Atesia?
AC: Molti precari si rendono conto solo ora, che il loro, in realtà è un lavoro a cottimo. Vengono pagati 85 centesimi ogni 2 minuti e 40 secondi di telefonata. Come si devono chiamare, se non lavoratori a cottimo? Ma la tragedia è che quasi tutti hanno più di trent'anni e per poter sopravvivere tengono insieme due o tre lavori. E in tutto questo, essendo precari, non sono neanche rappresentati dai sindacati. Il sindacato è esterno, come nelle fabbriche degli '40 e '50.
R@: Che differenza c'è con gli operai delle fabbriche di quegli anni?
AC: I lavoratori Atesia si trovano in condizioni ancora peggiori, perché almeno gli operai avevano qualche speranza per il futuro, per i loro figli. Invece, questi nuovi precari sanno che la situazione non può che peggiorare: oggi la precarietà non è soltanto nel lavoro, ma è anche nella vita di tutti i giorni. Abbiamo fatto un grande passo indietro in questi anni.
R@: Tornando alla Notte Bianca. In che consiste lo spettacolo che state preparando?
AC: Lo spettacolo è all'interno del Festival 'Bella Ciao' che avrà come filo conduttore il lavoro precario. Abbiamo registrato cinque spot di 5 minuti ciascuno, in cui i lavoratori del call-center raccontano la loro storia, sotto forma di radiogiornale. La rappresentazione sarà, sia in audio, sia in video, con delle immagini che scorreranno. Oltre questo, anch'io racconterò le loro storie sulla base delle interviste fatte nei mesi scorsi. Con tutto il materiale raccolto con queste interviste, ho in cantiere di realizzare un video-documentario con tutte le loro storie.
di Michela Bevere
06/09/2006
"I lavoratori precari del call-center Atesia si trovano in condizioni decisamente peggiori rispetto agli operai delle fabbiche negli anni '40 e '50". E' il commento di Ascanio Celestini sulla vicenda del call-center più grande d'Europa, che durante l'estate è stato sulle prime pagine di tutti i più importanti giornali, dopo la relazione dell'Ispettorato del lavoro, secondo cui i dipendenti Atesia svolgono a tutti gli effetti lavoro subordinato. Non è un fatto insolito che l'autore teatrale intervenga su questi temi, perché è da tempo che si occupa di lavoro precario. E in particolare Celestini sta preparando uno spettacolo che sarà presentato durante la Notte Bianca a Roma, a cui parteciperanno gli stessi lavoratori del call-center. Lo spettacolo sarà anche l'occasione per annunciare la mobilitazione indetta dal Collettivo Precari Atesia del 29 settembre per rivendicare l'abolizione della legge 30 e del pacchetto Treu e per mettere al centro della trattativa la stipulazione di contratti a tempo indeterminato.
R@: Che impressione si è fatto della vicenda Atesia?
AC: Quello che è accaduto nei giorni scorsi sulla vicenda Atesia è soltanto l'inizio di una battaglia. Il problema ora è capire come sarà interpretata la relazione dell'Ispettorato del lavoro. Il rischio è che i lavoratori siano assunti, con contratti di apprendistato e di inserimento. Il risultato dell'accertamento degli ispettori, poi, in realtà ha detto una cosa che avrebbe potuto dire mia nonna: se una persona lavora per sei mesi in uno stesso luogo non si può dire che sia 'a progetto', ma si tratta di un vero e proprio lavoro subordinato. Purtroppo però in Italia manca una cultura del lavoro.
R@: In che senso?
AC: E' paradossale che il presidente Alberto Tripi minacci di chiudere l'azienda e di andare all'estero, nel momento in cui l'Ispettorato del lavoro gli fa notare di non aver rispettato la legge finora. E' come se annunciasse pubblicamente di non volerla rispettare. Purtroppo, poi, non è emerso chiaramente che l'esposto agli ispettori del lavoro fu presentato più di un anno fa da cinque ragazzi del Collettivo Precari Atesia. E due di questi sono stati licenziati, mentre altri due non si sono visti rinnovare il contratto.
R@: Dalla sua esperienza, come le sembrano le condizioni di lavoro in Atesia?
AC: Molti precari si rendono conto solo ora, che il loro, in realtà è un lavoro a cottimo. Vengono pagati 85 centesimi ogni 2 minuti e 40 secondi di telefonata. Come si devono chiamare, se non lavoratori a cottimo? Ma la tragedia è che quasi tutti hanno più di trent'anni e per poter sopravvivere tengono insieme due o tre lavori. E in tutto questo, essendo precari, non sono neanche rappresentati dai sindacati. Il sindacato è esterno, come nelle fabbriche degli '40 e '50.
R@: Che differenza c'è con gli operai delle fabbriche di quegli anni?
AC: I lavoratori Atesia si trovano in condizioni ancora peggiori, perché almeno gli operai avevano qualche speranza per il futuro, per i loro figli. Invece, questi nuovi precari sanno che la situazione non può che peggiorare: oggi la precarietà non è soltanto nel lavoro, ma è anche nella vita di tutti i giorni. Abbiamo fatto un grande passo indietro in questi anni.
R@: Tornando alla Notte Bianca. In che consiste lo spettacolo che state preparando?
AC: Lo spettacolo è all'interno del Festival 'Bella Ciao' che avrà come filo conduttore il lavoro precario. Abbiamo registrato cinque spot di 5 minuti ciascuno, in cui i lavoratori del call-center raccontano la loro storia, sotto forma di radiogiornale. La rappresentazione sarà, sia in audio, sia in video, con delle immagini che scorreranno. Oltre questo, anch'io racconterò le loro storie sulla base delle interviste fatte nei mesi scorsi. Con tutto il materiale raccolto con queste interviste, ho in cantiere di realizzare un video-documentario con tutte le loro storie.
3.9.06
Quella vita da precari, che fatica
Con gli scrittori Bajani, Murgia e Desiati dibattito sul "non lavoro"
di GABRIELE DADATI
A volte, quando si è letto un bel libro o anche semplicemente un libro passabile, si teme l'incontro con l'autore: infatti temiamo che non potrebbe fare altro che deluderci essendo lui tremendamente meno interessante e impeccabile della sua opera.
Altre volte però capita che si incontra l'autore dietro il libro e si scopre che non solo ha scritto delle cose che hanno a che fare con noi, ci interessano, ma ne avrebbe anche molte altre e che non smetteremmo, se non dopo molto tempo, di ascoltarlo.
È il caso dei tre scrittori che ieri pomeriggio hanno intessuto il loro dialogo sul palco di Piazza Duomo: Andrea Bajani, Mario Desiati e Michela Murgia, coordinati con efficacia da Marco Bosonetto.
Il tema dei loro ultimi libri è, più o meno, quello del lavoro per i giovani oggi in Italia, vale a dire il non lavoro: il precariato.
Si è così snodato un percorso che va dalle due opere di Bajani sull'argomento, Cordiali saluti (Einaudi, 2005) che racconta la vita di uno «scrittore di lettere di licenziamento», e Mi spezzo, ma non m'impiego (Einaudi, 2006) che è un reportage satirico che dà voce a tanti precari, al libro d'esordio di Michela Murgia, Il mondo deve sapere (Isbn, 2006) che racconta "da dentro" la vita dei call-center, fino ad arrivare a Michele Desiati e al suo Vita precaria e amore eterno (Mondadori, 2006), che mostra nel protagonista Martino Bux come se il lavoro non è un valore garantito, lo deve essere almeno la forza della passione se si vuole in qualche modo sopravvivere.
Insieme a un Marco Bosonetto puntuale sui testi ma insieme capace di aprire a tematiche di ordine più generale, è stato bello ascoltare il dialogo che si è protratto per un'ora e mezza.
Ci si è resi conto così che, ad esempio, «è impossibile avere oggi dati sull'occupazione in Italia, perché ognuno dice i suoi e tutti hanno ragione» (così Bajani), che «il precariato può anche essere una scelta, ma non un'imposizione che priva dei diritti, perché si è lavoratori della stessa qualità per un giorno come per un mese o tutta la vita» (Murgia) e infine che «è la perdita della cultura umanistica e il dilagare di una sottocultura che vale solo a metà la cifra di questo Paese corrotto nel quale ci troviamo a vivere» (Desiati).
E il dialogo dei tre, che hanno saputo raccontare con il sorriso le loro esperienze e le difficoltà che sono poi proprie di tanti altri, non ha lasciato indifferente il pubblico, tanto che al termine ci sono stati diversi interventi. Forse vale la pena di ricordare in particolare uno di questi. Una signora infatti ha posto l'accento sul fatto che è opportuno che si senta una solidarietà tra le generazioni, perché forse proprio nel dialogo, nella condivisione delle esperienze sta il superamento di una congiuntura in cui sempre di più i figli non sono un ponte verso il futuro ma delle persone il cui quotidiano è un'incognita che pesa sulle spalle dei genitori.
Proprio su questo, passione e condivisione, si è chiuso l'incontro, con l'emozione di Michela Murgia che ha a sua volta fatto proprio l'appello.
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