Giustizia precaria, affidata ai magistrati a tempo determinato
Martedì 29 Gennaio 2008
Chi è un “magistrato onorario”? È un cittadino che, in possesso dei requisiti minimi (una laurea in giurisprudenza e l’abilitazione da avvocato), pur non essendo un magistrato di professione, sostiene la pubblica accusa ed emette verdetti. Viene pagato a cottimo e ha un mandato a tempo determinato. I magistrati onorari sono ormai tantissimi: 7.700 contro i 10.100 o poco più magistrati “togati”. Si occupano di un numero sempre crescente di cause e di processi sempre più rilevanti.
A questi “precari del diritto”, che comunque “consentono alla giustizia italiana di continuare almeno a zoppicare anziché crollare completamente al suolo”, è dedicato uno dei capitoli di Fine pena mai - L’ergastolo dei tuoi diritti nella giustizia italiana (Il Saggiatore), il nuovo libro di Luigi Ferrarella, cronista giudiziario del Corriere della Sera. Un saggio che si tiene alla larga dalle polemiche tra politici e magistrati e che spiega al cittadino, documenti e numeri alla mano, i motivi concreti per cui la giustizia italiana non funziona.
Ecco perché, scrive l’autore, “chi pensa che farsi i fatti propri e non aver mai messo piede in un tribunale basti a non scontare l’inefficienza del sistema giudiziario italiano si sbaglia. Il crac della giustizia insegue tutti i cittadini fin dentro casa e invade la loro vita quotidiana”. Le cause civili che durano in media otto anni, gli avvocati che si portano in aula la carta per le fotocopie, un’istanza che impiega otto giorni a passare da un ufficio all’altro dello stesso pianerottolo, i calcinacci che cadono in testa agli imputati, i traduttori impiegati nelle indagini antiterrorismo che aspettano il compenso per otto mesi, i pm che vanno in autobus a interrogare i mafiosi in carcere. Paradossi che dicono più dei discorsi sui “magistrati politicizzati” o sulle autorizzazioni a intercettare questo o quel politico.
E il caso dei giudici onorari è solo un esempio: “Amministrano quasi per metà la giustizia civile di primo grado”, spiega Ferrarella, “macinando ogni anno un milione e mezzo di cause. E sbrigano un sesto di quella penale, celebrando più di 80 mila processi l’anno. Per la maggior parte dei cittadini sono addirittura la faccia stessa della giustizia, il primo impatto con un giudice: quello al quale si va a chiedere di annullare una multa stradale, o di condannare la controparte a pagare i danni di un incidente automobilistico, o di essere assolti da un’accusa di lesioni o di truffa”.
“Eppure”, continua il giornalista, “non sono magistrati di professione. Ma cittadini proprio come quelli che giudicano. Perché, anche se non sta scritto in nessun tribunale, nell’ultimo decennio una larga parte della giustizia italiana è stata ‘privatizzata’. Subappaltata e fatta esercitare a precari del diritto, pagati a cottimo, sprovvisti di tutele di previdenza e assistenza, destinati a essere dismessi allo scadere di un mandato a termine”. E le “toghe precarie” non si occupano di processi di serie B. “Si parla di alcuni omicidi colposi per colpa medica e per infortuni sul lavoro, una parte dei dibattimenti per droga, maltrattamenti, truffe, circonvenzioni di incapace, alcuni tipi di furti e rapine, alcuni reati ambientali, più i processi ‘per direttissima’ dove il viceprocuratore onorario rappresenta la procura che chiede la convalida degli arresti in flagranza e l’emissione delle relative misure cautelari”.
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2.2.08
27.3.07
Palazzo d’ingiustizia. Mamma magistrato resta senza lavoro e assistenza
26/3/2007 - LA STORIA
Dopo il caso di Luisa i viceprocuratori onorari hanno annunciato una nuova serie di scioperi
GIANLUCA PAOLUCCI
TORINO
Lavoratori precari che si autotassano per permettere ad una loro collega di avere un minimo di reddito nel periodo di maternità. Costretta a rimanere a casa da una normativa che le impedisce di riprendere il lavoro dopo aver partorito ma non le riconosce le forme di assistenza e di previdenza che la legge riconosce ai lavoratori dipendenti. La precaria di questa storia però non lavora in un call center o in una agenzia di lavoro temporaneo.
E non è neppure un operaio dell’800, quando i lavoratori senza diritti fondavano le società di mutuo soccorso per darsi un minimo di tutela l’un l’altro. La precaria di questa storia, che chiameremo Luisa, amministra la giustizia oggi a Torino.
Per 73 euro netti al giorno, senza indennità di malattia, senza ferie pagate, senza tutela se decide di avere un figlio, rappresenta la pubblica accusa, cioè lo Stato, in tribunale. È la «co.co.co. della giustizia».
Luisa fa la viceprocuratore onorario a Torino. Resta incinta e nell’ultimo periodo della gravidanza si astiene (volontariamente) dal lavoro. Un mese fa il lieto evento, dà alla luce un bel bambino, un maschietto dai capelli scuri. Decide di tornare sul suo posto di lavoro, cioè il tribunale di Torino. Solo che il suo posto di lavoro non c’è, almeno per ora e fino a che non saranno trascorsi tre mesi dal parto, come prescrive il Testo unico in materia di tutela della maternità. Una delibera del Consiglio superiore della magistratura del luglio 2006 stabilisce che ai «precari della giustizia» - i giudici di pace, i viceprocuratori onorari e i giudici onorari di tribunale - vanno applicati gli stessi obblighi dei lavoratori dipendenti, ovvero devono restare in aspettativa obbligatoria in caso di maternità, come un lavoratore dipendente. Ma ovviamente non le riconosce il diritto a percepire l’indennità per le giornate di lavoro perse, come viene accade ai lavoratori dipendenti. Col risultato che Luisa resta sì a casa ad accudire il suo bimbo, ma senza l’unica fonte di reddito.
Il caso di Luisa stabilisce un precedente a livello nazionale, sottolineano i rappresentanti della categoria, perché di fatto «si prende atto che gli obblighi di prestazione che fanno capo al magistrato onorario non consentono di equipararlo ad un qualsiasi lavoratore autonomo - spiega Paola Bellone, la collega di Luisa che ha promosso questa Mutua del nuovo millennio -. Il paradosso è che al magistrato onorario non sono estese le forme di previdenza e di assistenza di cui beneficia il lavoratore dipendente, e quindi la tutela della prole, a cui è ispirata la delibera del Csm, non è effettiva».
Così i magistrati onorari di Torino hanno preso carta e penna e scritto ai parlamentari, hanno sollevato il caso di Luisa tra le ragioni dell’ennesimo sciopero della categoria - il secondo dall’inizio dell’anno - e alla fine si sono infilati le mani in tasca e hanno deciso di rinunciare ad una parte dei loro compensi, per costituire un fondo in favore di Luisa e del suo bambino.
L’iniziativa dei «magistrati co.co.co» torinesi ha avuto anche un’eco nazionale, con gli iscritti alla Federmot, una delle associazioni della categoria, che si stanno organizzando per un fondo nazionale di solidarietà a favore di tutte le future madri come Luisa.
Intanto i magistrati onorari tornano a scioperare. Cinque giorni, da oggi e fino al 31 marzo. Dopo un analogo sciopero sempre di cinque giorni in gennaio. Da allora, al di là delle molte promesse e della solidarietà di tanti magistrati togati - quelli veri, ufficiali, che hanno diritto alla maternità e alle ferie pagate - che riconoscono il loro ruolo nel tenere in piedi lo scoraggiante carrozzone dell’amministrazione della giustizia in Italia. Perché, senza questi precari, la giustizia italiana sarebbe in una situazione ben peggiore di quella attuale.
Due numeri, solo per chiarire di cosa stiamo parlando. In tutta Italia i giudici onorari e i magistrati onorari sono in quattromila. A loro è delegata l'ordinaria amministrazione dei tribunali: per reati come scippo, furto semplice e aggravato, rapina semplice, ricettazione, truffa, spaccio, calunnia, diffamazione a mezzo stampa la pubblica accusa può essere rappresentata dai Vpo. Ma anche per alcuni reati ambientali, i maltrattamenti in famiglia, le lesioni personali. E per tutti i reati previsti dalla Bossi-Fini, che hanno gonfiato il lavoro dei tribunali. Per reati più lievi, quelli che dal 2002 sono di competenza del giudice di pace, Got e Vpo svolgono addirittura le indagini.
In molte procure i Vpo sostengono l'accusa davanti al giudice di pace nel 100% dei casi. La percentuale è superiore al 90% anche per i procedimenti con il giudice monocratico. A Torino, per esempio, il 97% delle udienze monocratiche (che fa il 78% del totale) è tenuta da un «onorario». Tutto questo per 73 euro al giorno, senza ferie, senza malattia, e se fanno un figlio l’unica risorsa è la solidarietà dei colleghi. Come nell’Ottocento.
Dopo il caso di Luisa i viceprocuratori onorari hanno annunciato una nuova serie di scioperi
GIANLUCA PAOLUCCI
TORINO
Lavoratori precari che si autotassano per permettere ad una loro collega di avere un minimo di reddito nel periodo di maternità. Costretta a rimanere a casa da una normativa che le impedisce di riprendere il lavoro dopo aver partorito ma non le riconosce le forme di assistenza e di previdenza che la legge riconosce ai lavoratori dipendenti. La precaria di questa storia però non lavora in un call center o in una agenzia di lavoro temporaneo.
E non è neppure un operaio dell’800, quando i lavoratori senza diritti fondavano le società di mutuo soccorso per darsi un minimo di tutela l’un l’altro. La precaria di questa storia, che chiameremo Luisa, amministra la giustizia oggi a Torino.
Per 73 euro netti al giorno, senza indennità di malattia, senza ferie pagate, senza tutela se decide di avere un figlio, rappresenta la pubblica accusa, cioè lo Stato, in tribunale. È la «co.co.co. della giustizia».
Luisa fa la viceprocuratore onorario a Torino. Resta incinta e nell’ultimo periodo della gravidanza si astiene (volontariamente) dal lavoro. Un mese fa il lieto evento, dà alla luce un bel bambino, un maschietto dai capelli scuri. Decide di tornare sul suo posto di lavoro, cioè il tribunale di Torino. Solo che il suo posto di lavoro non c’è, almeno per ora e fino a che non saranno trascorsi tre mesi dal parto, come prescrive il Testo unico in materia di tutela della maternità. Una delibera del Consiglio superiore della magistratura del luglio 2006 stabilisce che ai «precari della giustizia» - i giudici di pace, i viceprocuratori onorari e i giudici onorari di tribunale - vanno applicati gli stessi obblighi dei lavoratori dipendenti, ovvero devono restare in aspettativa obbligatoria in caso di maternità, come un lavoratore dipendente. Ma ovviamente non le riconosce il diritto a percepire l’indennità per le giornate di lavoro perse, come viene accade ai lavoratori dipendenti. Col risultato che Luisa resta sì a casa ad accudire il suo bimbo, ma senza l’unica fonte di reddito.
Il caso di Luisa stabilisce un precedente a livello nazionale, sottolineano i rappresentanti della categoria, perché di fatto «si prende atto che gli obblighi di prestazione che fanno capo al magistrato onorario non consentono di equipararlo ad un qualsiasi lavoratore autonomo - spiega Paola Bellone, la collega di Luisa che ha promosso questa Mutua del nuovo millennio -. Il paradosso è che al magistrato onorario non sono estese le forme di previdenza e di assistenza di cui beneficia il lavoratore dipendente, e quindi la tutela della prole, a cui è ispirata la delibera del Csm, non è effettiva».
Così i magistrati onorari di Torino hanno preso carta e penna e scritto ai parlamentari, hanno sollevato il caso di Luisa tra le ragioni dell’ennesimo sciopero della categoria - il secondo dall’inizio dell’anno - e alla fine si sono infilati le mani in tasca e hanno deciso di rinunciare ad una parte dei loro compensi, per costituire un fondo in favore di Luisa e del suo bambino.
L’iniziativa dei «magistrati co.co.co» torinesi ha avuto anche un’eco nazionale, con gli iscritti alla Federmot, una delle associazioni della categoria, che si stanno organizzando per un fondo nazionale di solidarietà a favore di tutte le future madri come Luisa.
Intanto i magistrati onorari tornano a scioperare. Cinque giorni, da oggi e fino al 31 marzo. Dopo un analogo sciopero sempre di cinque giorni in gennaio. Da allora, al di là delle molte promesse e della solidarietà di tanti magistrati togati - quelli veri, ufficiali, che hanno diritto alla maternità e alle ferie pagate - che riconoscono il loro ruolo nel tenere in piedi lo scoraggiante carrozzone dell’amministrazione della giustizia in Italia. Perché, senza questi precari, la giustizia italiana sarebbe in una situazione ben peggiore di quella attuale.
Due numeri, solo per chiarire di cosa stiamo parlando. In tutta Italia i giudici onorari e i magistrati onorari sono in quattromila. A loro è delegata l'ordinaria amministrazione dei tribunali: per reati come scippo, furto semplice e aggravato, rapina semplice, ricettazione, truffa, spaccio, calunnia, diffamazione a mezzo stampa la pubblica accusa può essere rappresentata dai Vpo. Ma anche per alcuni reati ambientali, i maltrattamenti in famiglia, le lesioni personali. E per tutti i reati previsti dalla Bossi-Fini, che hanno gonfiato il lavoro dei tribunali. Per reati più lievi, quelli che dal 2002 sono di competenza del giudice di pace, Got e Vpo svolgono addirittura le indagini.
In molte procure i Vpo sostengono l'accusa davanti al giudice di pace nel 100% dei casi. La percentuale è superiore al 90% anche per i procedimenti con il giudice monocratico. A Torino, per esempio, il 97% delle udienze monocratiche (che fa il 78% del totale) è tenuta da un «onorario». Tutto questo per 73 euro al giorno, senza ferie, senza malattia, e se fanno un figlio l’unica risorsa è la solidarietà dei colleghi. Come nell’Ottocento.
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